Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film
Di fronte a questo viaggiatore, un ragazzino che va in giro in cerca di denaro per soddisfare un suo sogno, il pensiero va a Il corridore di Amir Naderi e alla bambina de Il palloncino bianco di Jafar Panahi, e ai tanti altri giovani “maratoneti” che popolano il cinema iraniano contemporaneo. L’idea dell’infanzia in cammino, impegnata in una affannosa lotta contro le circostanze avverse, nasce nel contesto culturale dell’Istituto per lo Sviluppo Intellettuale dei Bambini e degli Adolescenti, presso il quale Abbas Kiarostami, agli inizi degli anni settanta, avvia la sua carriera di regista. Quest’opera prosegue il discorso dei suoi primi due cortometraggi, in cui la strada è il luogo di un percorso impervio e solitario: il vicolo di The Bread and Alley (1970), ad esempio, è la metafora del sotterfugio che sfida le regole del mondo degli adulti, però si trasforma in un’avventura che fa crescere. La sua funzione educativa si manifesta nell’errore che si paga, nella paura che si supera, nel salto nel vuoto che costringe a fare i conti con se stessi. Nella storia del piccolo Qassem, che marina la scuola per giocare a pallone, e che decide di fuggire da casa per andare ad assistere ad una partita di calcio, la fantasia proibita si incanala nelle vie del progetto razionale, che comprende la furbizia e la scorrettezza, ma corrisponde comunque ad un piano attentamente studiato, scrupolosamente calibrato sulle possibilità di chi lo mette in atto. Per questo motivo, si presta ad essere esaminato e giudicato passo dopo passo: la narrazione, che rivela tutti i dettagli e i retroscena della vicenda, ha l’accuratezza della cronaca filmata, pur non possedendone la freddezza documentaristica. In questo caso, l’obiettività è partecipazione, in cui la lentezza e la ripetizione assecondano i tempi del pensiero, lasciando che, di fronte ad ogni evento potenzialmente decisivo, la tensione per il futuro e la riflessione retrospettiva giungano a maturazione. Qassem ed il suo amico si impossessano di una vecchia macchina fotografica rotta, con cui cercano, in ogni modo, di fare un po’ di soldi: mano a mano che si protraggono i loro tentativi, le loro insistenze, i loro espedienti, quell’oggetto malandato si copre di un fascino magico, e ci si comincia ad interrogare sulla sua storia e sulla sua capacità di reggere la finzione così ingenuamente architettata. In questo modo lo spettatore viene contagiato dalla curiosità e dall’incertezza tipiche dell’infanzia, condividendo il brivido dei piccoli che si sentono, nel contempo, attratti e (giustamente) intimoriti dalle cose dei grandi.
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