Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film
Dopo l’ennesimo e futile litigio col padre, un ragazzotto della Roma bene di fine millennio si ritrova catapultato negli anni sessanta, nel bel mezzo dell’educazione sentimentale dell’allora liceale babbo. Con un rapido stacco di montaggio quasi unico nella nostra cinematografia, dalle intenzioni fantasy intimiste e dai risultati più che casarecci, i fratelli Vanzina costruiscono un altro amarcord confermando la tesi che il loro sia un cinema della ripetizione: evocazioni autobiografiche e riferimenti alla commedia all’italiana, il Piper e i Parioli, lambrette e giradischi, prima volta e viaggio per amore.
Almeno una volta per decennio, i Vanzina ripropongono la nostalgia come unica ideologia del loro cinema corale e infine individualista (nei grupponi dei loro film c’è sempre un singolo che riflette la loro vita o il loro pensiero), spargono ingenue frivolezze e sprecano idee dignitose e, come quasi sempre nel filone in questione (Sapore di mare, Sapore di te e le fiction Anni ’60 e Piper per certi versi anche Vacanze di Natale), riescono ad essere innocui se non addirittura bonaccioni nella loro simpatica ruffianeria.
Un film senza infamia e senza lode, con qualche robetta qua e là di un certo interesse (i genitori Maurizio Mattioli e Cinzia Mascoli, la festa della buona gioventù borghese, la puntata in Svezia), retto dal senso di inadeguatezza dell’impacciato ed ancora acerbo ma già promettente Elio Germano, forse uno dei pochi segnali di novità anche per gli stessi Vanzina, che rinunciano al superomismo all’amatriciana degli yuppies e alla vacuità istituzionale di tifosi, selvaggi e finte bionde.
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