Regia di Claudio Noce vedi scheda film
Tra racconto autobiografico e dramma umano, molto visionario.
Siamo nel 2020, nella stazione della metropolitana di Roma si verifica un blackout “Respira con la pancia”. Nell’affanno di un attacco di panico, ci sono i segni di un passato che ha lasciato le sue tracce per sempre. Un evento tragico, avvenuto nell’estate del 1976. Mentre tutti i passeggeri evacuano la stazione, due persone si riconoscono, non sappiamo ancora nulla di loro, ma i loro occhi sono carichi di emozione. Parte da qui il lungo flashback che occuperà tutta la durata del film: La mattina del 14 dicembre 1976, a Roma, il vicequestore di polizia Alfonso Noce, subisce un attentato da parte dai NAP, Nuclei armati proletari, durante cui perdono la vita un agente di polizia e un terrorista. Noce resta gravemente ferito, ma dopo un delicato intervento chirurgico, si ristabilisce e dopo lungo ricovero torna a casa dalla sua famiglia. Nelle fasi convulse del conflitto a fuoco, mentre la madre soccorre il marito ferito, il fratello che nella finzione cinematografica si chiama Valerio e ha 11 anni, incrocia lo sguardo con uno dei terroristi, che si è tolto la maschera, agonizzando poco prima di morire. Questa immagine resta scolpita nella sua memoria e ricorre spesso . Dopo qualche tempo Valerio conosce uno spavaldo ragazzino, Christian di qualche anno più grande di lui che lo coinvolge in bizzarre e pericolose avventure, solo alla fine si capirà il ruolo e l’identità di costui. Claudio Noce il regista è il figlio di Alfonso, all’epoca aveva poco più di un anno, non può ricordare nulla, ma può rielaborare quei fatti, seguendo i racconti e le impressioni del fratello più grande che aveva assistito a quel tragico evento, che ricordava sin troppo bene, costruendo un film che è soprattutto una sorta di terapeutica catarsi. Si approccia alla storia del nostro paese rappresentandone una più intima e personale, Gli anni di piombo restano sullo sfondo; il punto di vista del bambino, è ignaro di tutto se non del proprio mondo, tra la Roma pariolina e la Riace delle origini, dove la famiglia si rifugia d’estate e si ritrova insieme in quelle lunghe e magnifiche tavolate, dove tutti i membri della famiglia numerosa si raccolgono per desinare, ma soprattutto per godere della compagnia, per stare insieme come si faceva una volta, nelle famiglie di un tempo, dove non c’erano tv o smartphone, che distraevano ma solo un silenzio complice e rassicurante e il posto a capotavola veniva riservato al decano della famiglia. Noce, sceglie di riprendere da vicino i suoi interpreti e di riprendere in campo e controcampo il volto del bambino e, dal basso verso l’alto, quello del papà. L’effetto è, un tantino fuori misura, tra ralenti, primissimi piani, riprese in “plongée”, accompagnamenti musicali suggestivi, ma non sempre appropriati, “Buonanotte fiorellino” sulle immagini che ricostruiscono l’attentato, “Impressioni di settembre” nel momento chiave del rapporto tra Valerio e Christian. Una delle sequenze più intense del film è, quella in cui il giovane Valerio spiega all’amico Christian la dinamica dell’attentato a cui ha assistito dal balcone di casa. Utilizzando dei gessetti colorati il bambino ridisegna in modo compulsivo le sagome dei cadaveri sull’asfalto, è li che i genitori realizzano tutta l’angoscia del bambino, che non solo ha visto tutto, ma non riesce a liberarsi dalla paura che questo ricordo solleva continuamente. I protagonisti sono dunque Valerio e Christian e il loro rapporto di strana amicizia asimmetrico per età e temperamento. Ad una prima parte più lenta corrisponde una seconda più movimentata che coincide con il viaggio in Calabria e i primi contrasti tra i due compagni che scopriremo solo alla fine, pur essendo molto diversi, hanno parecchio in comune. Lo sguardo del cineasta è perso completamente dentro la storia che racconta. Dietro ciò che vede Valerio, sospeso tra realtà e immaginazione, c’è la ricostruzione molto soggettiva dei ricordi del regista. Dal nostro punto di vista, quel senso di paura, di smarrimento, perviene a sprazzi. Noce privilegia la prospettiva personale, accenna appena a figure come il calciatore Luciano Re Cecconi, scambiato per un rapinatore e ucciso per sbaglio da un gioielliere il 18 gennaio 1977, nel corso di uno scherzo fatale. Il punto di vista è sicuramente coerente e viene seguito fino alla fine del film. Però quel periodo storico resta troppo sbiadito, poco approfondito, sottolineato dalla fotografia di Michele D’Attanasio che restituisce più i colori, che il clima dell’epoca. Tornati nel 2020, alla sequenza introduttiva, Valerio riconosce Christian: i due si tendono la mano ed escono per strada, ormai adulti corrono e ridono facendosi largo tra la folla. Pierfrancesco Favino non perde un colpo e si merita la Coppa Volpi che ha conquistato, anche se lo vediamo come lo vede Valerio: poco, di sfuggita, un eroe o un “infame” come alcuni compagni di scuola lo apostrofano, sofferente, duro e allo stesso tempo tenero, un mentore e un bimbo sperduto. Padrenostro è un film in bilico tra realtà e fantasia, con sfumature oniriche, ricco di voli pindarici, dove molte scene sono enfatizzate, dall’uso delle luci. Noce mescola ricordo, immaginazione e realtà, in un mix audace e sicuramente imperfetto, con nette forzature. La prova dei due giovanissimi attori è superlativa, a dispetto di molte critiche che invece l’hanno stroncata, il film però è pretenzioso, e non accontenta le aspettative che ha generato.
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