Regia di Claudio Noce vedi scheda film
Narrano le cronache che Pierfrancesco Favino, già applaudito a Cannes per "Il traditore" e particolarmente a suo agio con personaggi scomodi e complessi, abbia perorato con possanza il proposito di Claudio Noce di raccontare una pagina privata e poco conosciuta della propria storia; abbia creduto senza esitazione nel progetto fino a rivestirne il ruolo di produttore; sia diventato, egli stesso, anima e promotore del film presentato in concorso alla settantasettesima Mostra di Venezia. Ovviamente Favino ha blindato il ruolo del co-protagonista, il questore Alfonso Le Rose, ferito in un attentato terroristico per mano di una cellula affiliata ai Nuclei Armati Proletari. Non credo abbia avuto rimostranze Claudio Noce perché Favino, che ha infilato un "uno due" di grande spessore con Buscetta e Craxi (una commistione sulfurea di potere malavitoso e politico) è, di questi tempi, senza dubbio, uno degli attori più desiderati e con maggior potere mediatico, uno di quelli che può decidere le sorti del film al botteghino, per intenderci. Nessuno avrebbe potuto interpretare con maggior cura la figura del vicequestore ispirato ad Alfonso Noce, padre del regista che nel 1976 subì un'imboscata dei NAP che costò la vita ad un agente di polizia e ad un malvivente. Nonostante la monumentale presenza dell'attore, acuita da riprese che fanno intendere chiaramente il punto di vista del racconto, è il giovanissimo Mattia Garaci il vero protagonista del film. Il biondo ragazzino interpreta Valerio Le Rose che, dal balcone di casa, assiste alla sparatoria che coinvolge il padre. La figura è ispirata al fratello undicenne di Claudio che fu testimone dell'episodio. Il racconto si snoda, perciò, intorno al ragazzino che, pur assistendo all'accaduto, viene rinchiuso senza spiegazioni in camera e privato della televisione messa sottochiave in salotto. Valerio assiste alle pene della madre che tuttavia non intende comunicare ai figli nulla di quanto successo. Mentre il ragazzino è in preda ad attacchi d'ansia, acuiti dal comportamento della madre, la vita trascorre ovattata tra le mura di casa. Quando però il vicequestore torna a casa come niente fosse accaduto e Valerio ricomincia la scuola uno strascico emotivo lo accompagna con episodi di rabbia, ansia e ribellione.
Il racconto visto dalla parte del testimone funziona e, nello spaesamento del ragazzino davanti alle reticenze familiari, la narrazione sembra imboccare la strada più interessante per un'opera più introspettiva che ideologica. La comparsa in scena di Christian, un ragazzino sporco e mal vestito che conquista lentamente la fiducia di Valerio sembrerebbe dare a Noce l'appiglio per analizzare i problemi psicologici che il giovane Le Rose si porterà appresso fino all'età adulta come si evince fin dalla prima sequenza che lo vede adulto in metropolitana. Christian sembre il frutto dell'immaginazione di Valerio tant'è che il regista, sulle prime, filma esclusivamente i due amici senza la presenza di adulti e non appena la madre o il padre di Valerio compaiono nell'inquadratura il quattordicenne dai jeans sgualciti scompare di colpo. Quando la famiglia Le Rose approda in Calabria per una vacanza e Christian raggiunge clamorosamente il compagno di avventure nella terra di origine dei Le Rose il regista sembra percorrere ancora il sentiero della descrizione dello stress post traumatico a carico del giovane figlio di Alfonso. Quando però il "primo contatto" tra il mondo degli adulti ed il quattordicenne emerso dal nulla si consuma l'impalcatura crolla e il film inizia a sbandare tra la corsia preferenziale dell'analisi psicologica, ormai sorpassata, e la corsia d'imissione di una presenza misteriosa e disturbante a cui il regista sembra non voler dare alcuna giustificazione. A questo punto la narrazione propende verso i toni del giallo fino al pre-finale rivelatorio, quando Alfonso trova il borsello di Christian mentre il finale vero e proprio, alquanto artificioso, inciampa tre le rocce rendendo ridicolica la catarsi familiare a causa di un ennesimo coup de théâtre che lascia scorgere un ripensamento narrativo ed il conseguente passo indietro verso l'ormai abbandonata disserzione sulla salute psicologia di Valerio. A mio avviso Noce salta come un canguro da una parte a l'altra del fosso ora optando per il giallo, ora indagando sui traumi nella personalità del giovane protagonista causando una discreta esasperazione nel pubblico, spettatore delle continue indecisioni registiche che rasentano il parossismo con il ritorno al presente (ebbene sì il film è tutto un lungo flashback) all'interno della metro nella sequenza finale. Personalmente ho trovato interessante il film fino al pre-finale ma ho trovato assolutamente inutili il prologo e l'epilogo ed i troppi colpi di scena sulle scogliere del mare calabro. Favino monumentale dal punto di vista fisico quasi a schiacciare i corpi smilzi e asciutti dei due adolescenti forse non meritava così tanto la strombazzata Coppa Volpi assegnata fin dal suo arrivo al Lido dalla giuria nazionalpopolare benché la sua bravura risulti cristallina anche con un paio di chili di troppo e due basette voluminose. Ma la spogliazione dell'attore in camera da letto, deposto nell'altare di lana del proprio talamo, ricoperte appena le pudenda da un cencio di lenzuolo, come il Cristo verdognolo di Andrea Mantegna, mi ha lasciato alquanto basito. Se da un lato apprezzo l'intento di accostare la figura del Cristo morto per redimere i peccati dell'umanità a quella del questore da cui emanano quei valori civili messi a tacere dalla criminalità, dall'altro non ho potuto controllare uno spasmo, un risolino imbarazzato, un sullulto di incredulità per una scena ammiccante quanto inneccessaria, fin quasi ridicola. Noce insomma ha fatto di tutto. Forse troppo affinché il risultato risultasse altamente credibile. Forse un po' di semplicità non avrebbe guastato al risultato finale.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta