Regia di Claudio Noce vedi scheda film
77esima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - In Concorso
Opera dall'impianto autobiografico, il regista Claudio Noce è il figlio del vicequestore Alfonso Noce che fu vittima di un attentato da parte dei Nuclei Armati Proletari, ci porta nella Roma del 1976, segnata dalla tensione degli Anni di Piombo, che ci racconta da un punto di vista particolare, quello di un bambino, Valerio, alter ego del regista.
Il padre (Pierfrancesco Favino), di cui non si capisce mai bene che posizione occupi (poliziotto? magistrato?), subisce un attentato sotto casa, a cui Valerio assiste dal balcone di casa. Il papà la scampa seppur ferito; rimane invece sull'asfalto uno dei componenti del commando terroristico. I mesi successivi non sono facili per la famiglia, soprattutto per uno spaesato Valerio, messo in soggezione da una situazione che non può capire, con notizie che gli vengono tenute nascoste e problemi troppo grandi per la sua età, che vive nella costante paura per il padre e sopporta una condizione di “diversità” che lo separa dai coetanei che conducono esistenze ordinarie in famiglie normali, in case dove non c'è una macchina della polizia parcheggiata giorno e notte di fianco al portone. Il bambino trova allora parziale distrazione nella frequentazione di un nuovo strano amico, di poco più grande d'età, Christian, apparentemente un ragazzo di strada. Dato che le minacce terroristiche proseguono e la situazione si sta facendo intollerabile, il padre per allentare la tensione decide di portare tutti in vacanza nella natia Calabria.
Lo stile adottato da Noce appare sin da subito un po' troppo enfatico, ma, se la ricostruzione dell'attentato e l'elaborazione dei suoi postumi a Roma suscitava interesse, con le vacanze calabre, seconda sezione eccessivamente prolungata, e l'arrivo improbabile di Christian in Calabria, il film prende a girare a vuoto e si smarrisce dietro dettagli di scarsa importanza. Va perdendo troppo tempo a raccontare le vacanze dei ragazzini, tra gite al mare, biciclettate nei campi e partite di pallone, così il rapporto col padre, perennemente sotto scorta, che deve tenere il figlio a distanza per motivi di sicurezza, insomma la parte più interessante della vicenda, finisce in secondo piano. Dopo aver sospettato che Cristian fosse un prodotto della fantasia di Valerio, la rivelazione finale sulla sua identità mi ha strappato poco più di uno sbadiglio: in generale lo ritengo un personaggio che sbilancia il film verso una direzione sbagliata, indebolendone l'impianto narrativo.
La sceneggiatura mostra frequenti cali, e perfino buchi, magari voluti per renderci partecipi del sensi di straniamento e mancata comprensione del quadro generale vissuta da Valerio. Ma il senso di spaesamento che producono non rafforza sempre il film, anzi scade sovente nella confusione.
Oltre ad aver pensato che Christian potesse essere un frutto di una fantasia infantile, ad un tratto l'ho pensato anche del padre dopo l'attentato, a cui sarebbe sopravvissuto solo nell'immaginazione del figlio; ma ho pensato anche che magari il film sarebbe stato più affascinante adottando questa prospettiva immaginaria.
Altro problemi si rilevano sul versante interpreti. Favino seppur un po' più svogliato del solito se la cava sempre bene, ma gli attori che interpretano madre e figlio non mi sono parsi particolarmente bravi o in parte. Il lezioso bambino biondo che interpreta Valerio (che per inciso non assomiglia per niente a Favino) deve portare sulle spalle il peso del film che lo vede costantemente in scena, con la macchina da presa incollata spesso al viso: compito non facile in cui non viene adeguatamente supportato. Il confronto col coetaneo protagonista dell'iraniano Khorshid- I bambini del Sole, visto il giorno dopo qui a Venezia, dimostra che c'è un altro modo, molto più efficace, di portare lo sguardo infantile sul grande schermo.
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