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Lenny

Regia di Bob Fosse vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lenny

di rocky85
8 stelle

“È la repressione di una parola che le dà violenza, forza, malvagità!”

Ne era convinto Lenny Bruce, comico, cabarettista ed autore teatrale che scandalizzò l’America puritana e benpensante degli anni Sessanta. Nei suoi spettacoli discuteva apertamente di sesso, rapporti di coppia, religione, razzismo e integrazione sociale, ma il suo intento era dimostrare quanto la società americana fosse ipocrita e malata, incapace di riconoscere una qualsiasi forma di libertà di espressione. Personaggio scomodo, controverso e ostile verso le istituzioni, visse una rapida ascesa verso il successo costellata da un difficoltoso rapporto con la moglie Honey, da problemi giudiziari e arresti, e da una dipendenza dall’eroina che gli stroncò la vita a soli 40 anni.

 

« Non puoi mica scrivere "tette e culi" su un'insegna. Perché no? Ma perché è volgare, è sporco, ecco perché. Le tette sono sporche e volgari? No, non mi prendi in trappola: non sono le tette, sono le parole. Le parole. Non si scrivono certe parole, dove anche un bambino può vederle. Il tuo bambino non ha mai visto una tettina? Non ci credo. Credo invece che per te siano proprio le tette ad essere sporche. Mettiamo che l'insegna dica "seni e sederi". Va già meglio. Interessante. Vediamo in latino avrà anche maggior austerità: gluteus maximus et pectorales majores ogni sera. Così sì, che è pulito. Per te, schmuck... ma è sporco per i latini! » (Lenny Bruce)

 

Nel 1974 Bob Fosse (autore di celebri musical quali Cabaret e All That Jazz, e proveniente anch’egli dal mondo del cabaret e degli spettacoli teatrali), mette in scena la sua vita nel bellissimo Lenny. Fosse realizza un film biografico ancora oggi incredibilmente moderno per l’uso del montaggio e della macchina da presa, alternando la vita di Lenny (Dustin Hoffman) con finte interviste ai personaggi a lui più vicini, ovvero la moglie Honey (Valerie Perrine), la madre e l’agente Artie. In tal modo, riesce a dare forza alla disperata ribellione di un uomo contro le convenzioni sociali e la “buona morale” statunitense, alla parabola autodistruttiva di un artista fragile e incompreso. E riesce a parlare di cosa sia considerato osceno, indecente, immorale.

“Ed è qui che comincia il conflitto: tutti noi vorremmo per moglie un incrocio tra una maestrina di scuola parrocchiale e una puttana da 500 dollari a notte”. Fosse ritrae con dolcezza la difficile relazione tra Lenny e sua moglie Honey: lui la incontra e, incurante del passato di lei come spogliarellista, decide di sposarla. Insieme conoscono le vie dell’eroina, ne escono a fasi alterne e ci ricascano, finendo col rovinare la loro storia sentimentale. Un rapporto che però non smette mai di essere amore sincero.

Dustin Hoffman (doppiato in modo egregio da Gigi Proietti che asseconda un difficile tour de force linguistico) si cuce mimeticamente sulla pelle il suo personaggio, in una performance eclettica e straziante, forse la sua più grande di sempre. Altrettanto magnifica è Valerie Perrine (premiata a Cannes), che restituisce la sofferenza e le fragilità di Honey. Da applausi anche la strepitosa fotografia in bianco e nero di Bruce Surtees.

Sei nomination agli Oscar, nemmeno un premio. Non c’è da meravigliarsi: Lenny è un film troppo antiamericano, troppo onesto e spudoratamente sincero. Ma, del resto, lo stesso Lenny Bruce credeva che “La verità è ciò che è, non ciò che dovrebbe essere. Ciò che dovrebbe essere è una sporca bugia”.

 

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