Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film
In questo film la musica interpreta la trama di tensione che attraversa l'aria; con i suoi accordi rende udibile il tonfo delicato con cui i pensieri si lasciano irretire dall'incanto del proibito e dell'incerto. L'esilio è, metaforicamente, il senso di estraneità che impedisce alla ragione di applicarsi al mondo; e così la mente prende a vagabondare, conturbata da un ebbro senso di avventura.
Le mani di Bertolucci si posano sui tasti di un'espressività grezza, disarmonica e apparentemente casuale, come i ritmi africani, che riproducono l'indistinto, però intenso, brusio di sottofondo della natura primitiva. L'unico rimedio all'incomprensione e alle barriere culturali è il ripiegamento su un linguaggio che rompe i codici della parola e della mimica, per diventare un semplice sbuffo di emozioni: emozioni che, per i due protagonisti, sono appena trattenute dalla meraviglia di scoprirsi e di piacersi. La loro storia d'amore segue il tempo immaginario di una melodia, che non conosce né passato, né futuro, poiché dal nulla inizia, e nel nulla termina, per poi ricominciare infinite volte. Nella loro sfuggente intesa non c'è motivo né scopo, non c'è conquista né conquistatore, perché i loro esseri, come le note su di un pentagramma, si rincorrono eternamente senza mai raggiungersi. Il loro rapporto è la magnifica simbiosi di due solitudini, che si guardano da vicino ma non si uniscono, ed il loro stare insieme è libero e indefinibile; non necessario, ma nemmeno inutile, splendidamente equidistante da tutti i perché, come da tutti i perché no.
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