Regia di Cédric Kahn vedi scheda film
Dal celebre romanzo omonimo di Alberto Moravia che già aveva ispirato il film di Damiano Damiani con Catherine Spaak, sceneggiato dal regista con Laurence Ferriera Barbosa, ambientato nella Parigi degli anni novanta, un’opera che conferma la modernità e la ricchezza psicologica del testo di Moravia, pur modificandone alcuni elementi: certi personaggi sono stati eliminati come la madre di Martin, altri sono stati inventati come Sophie (Arielle Dombasle) l’ex compagna di Martin, che diventa poi la sua confidente. Martin è un docente di filosofia, stanco e annoiato dall’insegnamento, deciso a dedicarsi alla scrittura di un libro. Oppresso, amorfo, passivo, completamente depresso, a chi gli chiede “Cosa c’è che non va?” risponde: “Tutto”; incapace di stare con se stesso, non ha più voglia di fare niente, trova tutto disgustoso. Da sei mesi non fa l’amore per mantenere la concentrazione sulle sue attività intellettuali: del resto alle sue lezioni sostiene che la perfezione del piacere è un lusso. Il suo stato d’animo inquieto e disturbato aumenta in seguito all’incontro con Cecilia, modella indolente e soprappeso, disponibile e assai generosa nel concedersi sessualmente, ragazza semplice, impenetrabile, ottusa e monocorde che si dice abbia provocato la morte del pittore per il quale posava, durante uno dei loro numerosi e focosi amplessi. Martin rimane affascinato e profondamente colpito da Cecilia e inizia con lei una relazione basata esclusivamente sul sesso, benché, in fondo, non riesca a capire cosa ci sia di interessante nella ragazza, così insignificante intellettualmente, e dal fascino non proprio irresistibile. Ben presto il rapporto tra i due si fa morboso, malato e angosciante a causa dell’ossessione assillante e immotivata di Martin. L’insegnante è allo stesso tempo infastidito e attratto, irritato e incuriosito dall’atteggiamento superficiale ed approssimativo della ragazza che sostiene: “non c’è motivo per innamorarsi: ci si innamora e basta”. Il fatto che la ragazza lo annoia lo rende sadico: “persino quando parla è in silenzio”. Non esiste nessun rapporto se non a livello fisico: eppure “più la prendo e meno la posseggo”. Dopo avere conosciuto la famiglia di Cecilia, il cui padre è malato terminale, la gelosia di Martin si fa progressivamente più divorante e disperata: arriva a chiamare l’amica della ragazza, per sapere se davvero si sono parlate, passa le giornate al telefono, aspettando con angoscia e trepidazione che Cecilia lo chiami, cerca di scoprire con qualsiasi tipo di stratagemma che cosa fa ogni giorno, la controlla, la pedina, la tiene costantemente d’occhio, assillandola fino all’esasperazione con domande a raffica sul suo nuovo amico, capace di introdurla nel mondo del cinema. Cecilia rimane impassibile, apatica, fredda, impermeabile: non osserva le persone nei particolari, vede solo se sono simpatiche o antipatiche; “il carattere in fondo è qualcosa di invisibile”. Non riesce a pensare nulla, men che meno dell’uomo con cui fa l’amore (“Bisogna per forza pensare qualche cosa?” risponde tranquilla ad un sempre più indispettito e infastidito Martin). Cécilia vive in un mondo di certezze, quelle dei suoi sensi. I suoi comportamenti sono dettati da quell’istintività animale, e anche crudele (vedi l’indifferenza verso il cancro del padre) inimmaginabile per Martin, abituato al giudizio critico. “La sua mente è vuota, perché Cecilia mi sfugge e non riesco a possederla”: manca ogni tipo di comunicazione e passione, il distacco e la freddezza sono assoluti ed emergono in tutta la loro evidenza in amplessi meccanici, reiterati, ripetitivi. "Proprio questa attraente vitalità di Cécilia, che vibra all’unisono col suo corpo e la sensualità generosa e onnivora diventeranno l’ossessione pericolosa di Martin che cade anche in un devastante conflitto intellettuale, poiché le sue idee un po’ cartesiane e platoniche crollano dinanzi all’epicureismo gaudente e nichilista della giovane donna" (RevisionCinema.com). Ridotto come uno straccio, insulta e offende di continuo e senza motivo Cecilia, la obbliga con insistenza a fare l’amore sempre più spesso e sempre con maggior frenesia e isterismo: il bisogno di lei arriva ad una tale assurda ed ingiustificata nonché incomprensibile follia che le propone di sposarlo, per essere uniti davvero e per sempre e per poi avere insieme dei figli; le offre seimila franchi pur di non farla partire per la Corsica con l’amante e tenerla solo per sé. Ma si può prevedere tutto, tranne i sentimenti: “Se vuoi continuare, continuiamo: ormai mi sono abituata a te”. L’idea del suicidio per Martin diventa così quasi una necessità. Cedric Kahn descrive con uno stile asciutto, coerente, distaccato e raffinato la nevrosi concitata, disperata, reiterata e ossessiva di un uomo (un efficace, convincente e anche affascinante Charles Berling) in balia di una ragazza (una sorprendente e credibilissima Sophie Guillemin, creatura boteriana col perpetuo sorriso della Gioconda) che gli ha fatto perdere completamente la testa, ma con la quale non riesce ad instaurare la benché minima comunicazione se non ad uno squallido ed annoiato livello fisico, nella triste constatazione che la continua penetrazione non comporta comunque il possesso della donna. Un’opera realistica e attendibile, ricca di interessanti spunti per dibattiti socio psicologici.
Voto: 7
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