Regia di Ko Myoung-Sung vedi scheda film
FLORENCE KOREAN FILM FEST
Ci troviamo in Corea alla fine della guerra, in un cupo autunno del 1953, quando una regia sinuosa e sofisticata introduce anche noi spettatori all'interno di una sala da te, che comprendiamo poco dopo costituisca da luogo di incontro e rifugio per un manipolo di artisti di vario genere.
Quel giorno, tuttavia, nel locale entra, con tutta la tenacia e la pittoresca caratterialità che lo contraddistingue, anche un ufficiale del controspionaggiodi nome GiChae Kim, annunciando ai frequentatori il ritrovamento del cadavere del poeta DuHwan, morto apparentemente suicida alle pendici di un dirupo non distante dalla cittadina.
Da quel momento, nel locale, dalla curiosità quasi morbosa inerente quell'episodio violento, si passa ad una vera e propria indagine, condotta con metodi sin brutali dal tenace uomo di legge, che dà inizio ad un pressante interrogatorio che finirà per coinvolgere clienti come inservienti come il proprietario del locale stesso, tutti in qualche modo in grado di risultare come persone in qualche modo coinvolte in quella torbida storia di vita e di morte, che li vede in qualche modo tutti coinvolti da vicino.
Più che la soluzione dell'intrigo e lo svelamento del mistero, nel film splendidamente ambientato e girato con grande estro ed abilità da Ko Myoung-sung, contano i personaggi, le verità che si svelano o si scoprono nel dipanare poco per volta le identità di ognuno, celate da reticenza o da segreti che trasformano ognuno dei presenti in vittime e carnefici nel medesimo tempo.
Poi l'ambiente si surriscalda, le minacce si trasformano in azioni punitive, e la sala da te si trasforma da occasione di incontro in un luogo di detenzione ove diventa difficile pensare di uscirne senza che la verità possa essere svelata.
Un po' influenzato dall'atmosfera intrigante di Agatha Christie e del suo noto romanzo giallo Dieci piccoli indiani, incastrato entro le mura di un locale che si trasforma lentamente da luogo di svago o di riparo in prigione senza via d'uscita non molto diversamente, se non per stile, da quel che abbiamo visto succedere nel tarantiniano splendido The Hateful Eight, The 12th suspect si struttura come un puzzle sofisticato e pieno di incastri che la suadente regia e le splendide scenografie riescono a rendere più ammaliante, evitando che troppi meccanismi automatici finiscano per rendere un po' troppo arduo il gioco sadico tra cacciatore e prede.
Un film raffinato e di grande impatto scenico, forte di una fotografia meravigliosa e di una accuratezza scenica degna di maestri come Wong Kar-wai, che riesce a suggestionare lo spettatore, nonostante una certa complessità della storia.
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