Regia di Mario Piredda vedi scheda film
FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2019 - ALICE NELLA CITTÀ - CONCORSO - OPERA PRIMA
Anita è una diciassettenne sarda che vive in una famiglia semplice dedita alla pastorizia ovicaprina.
Ma al padre, da tempo affetto da problemi di salute, viene diagnosticata una forma di leucemia che non gli fornisce scampo, se non con un trapianto.
Peccato che i tempi per una donazione di midollo compatibile per l'operazione siano lunghi e pieni di incognite, e che sia la figlia, sia suo nonno, siano risultati incompatibili al procedimento.
L'unica soluzione è tentare di contattare lo zio Gaetano, fratello del malato, che sta dall'altra parte dell'isola, con cui suo padre e suo nonno hanno da tempo interrotto ogni rapporto.
Ma cancellare le macchie del passato è un compito assai arduo per una ragazza tenace ma sin troppo impulsiva come Anita, disposta ad affrontare sin troppo di petto e con assai poca diplomazia la spinosa questione.
Nel frattempo, anche per addolcire la faticosa degenza del padre, la ragazza si porta a casa un agnellino del nonno nato pochi giorni prima, ma rimasto orfano subito dopo il parto, e bisognoso di essere allattato artificialmente.
"L'agnello" non commette, tuttavia, l'errore di rifugiarsi nel candore disneiano dirompente e contagioso del bellissimo cucciolo di mammifero, ma riesce ad utilizzarlo senza subirne il fascino, nel contesto di una storia ruvida incentrata più che altro su legami familiari irrisolti, scanditi con grande efficacia da un dialogo che sa trovare il giusto spazio per districarsi tra ironia e complicità di un rapporto padre/figlia, piuttosto che nipote/nonno o nipote/zio, davvero molto ben condotti e risolti.
Senza ricatti morali, piagnistei i utili, o scene madri inverosimili.
E l'esordio nel lungometraggio del regista di Sassari, Mario Piredda, appare lucido, riuscito, schietto e abile nel districarsi tra argomenti e tematiche sulla carta assai rischiose, in quanto minacciate costantemente da trappole insidiose nascoste in trabocchetti di retorica e facili tenerezze.
Qui invece, e per fortuna, ogni tentazione retorica è completamente lasciata al di fuori, sostituita dal desiderio di concentrarsi sui personaggi e sulla forza del loro agire, ancor prima del loro comunicare, comunque scarno, ruvido, attraverso quell'idioma così particolare ed assai efficace che non lascia spazio a possibilità di travisamenti, supportato da una complicità che scatta con una semplice occhiata, ben più loquace ed espressiva di qualunque discorso o altra forma di comunicazione.
E anche la Sardegna schietta, verace e montana che qui fa da sfondo alla vicenda, sa rifuggire con coraggio ogni luogo comune folkloristico e turistico che troppo spesso finisce - altrove per fortuna - per danneggiare o compromettere storie o situazioni, motivate magari dalla necessità di cedere alla tentazione di peraltro utili aiuti finanziari in cambio di ritorni di immagine spesso fuorvianti o fuori luogo rispetto al contesto narrativo del film.
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