Regia di Mario Piredda vedi scheda film
“L’agnello” è un ritratto fedele di un’altra Sardegna che nessuno ci racconta più. Dietro la ruvidezza di un dramma familiare si palesa la storia recente di una terra martoriata dalla mancanza di lavoro e dalla presenza silenziosa ma letale di basi militari. Anita è una ragazza determinata nel salvare il padre Jacopo dalla leucemia, dopo aver perso la madre per lo stesso motivo. Anita è ruvida come il linguaggio dei dialoghi, ha gli occhi grandi come i tramonti sardi che meritano applausi a scena aperta, ha le labbra possenti come vecchie montagne. Con scarsi mezzi culturali ma tanta ostinazione e carattere vuole ripristinare i rapporti interrotti tra fratelli, al fine di dare un’opportunità di trapianto al padre segnato da un destino irrimediabile.
Vite randagie quelle dei quattro protagonisti, storia che sa di archetipo moderno di una condizione isolana che non fa clamore, non fa notizia, tantomeno appeal. Paesaggi aspri come i loro caratteri, segnati da un vento e una nebbiolina inesorabili. Dai paesaggi naturali a quelli di tristi nosocomi il passo è rapido. Conoscono pochi momenti di gioia questi esseri, iniettata di chemio e alcol. La scena con il brano Vodka Fraise ne è l'apice.
Grazie ad un ottimo reparto tecnico un’altra Sardegna (marginale e saturata) è visibile e apprezzabile. Il regista Mario Piredda con “L’agnello” (simbolo di innocenza, vita e infine riscatto per la dolente Anita) firma un esordio bello e importante. Bravissimi gli interpreti – veri, reali – Nora Stassi, Luciano Curreli, Piero Marcialis, Michele Atzori etc. Reali perché immersi nelle vicende narrate, veri perché autentici ma sono i loro occhi aperti nella notte della vita a restituirci il dramma recondito di una terra.
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