Branagh prosegue con Poirot ma questa volta va più in profondità.
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A distanza di ben cinque anni dal tanto criticato Assassinio sull'Orient Express, Branagh torna ad impersonare il Poirot del Nuovo Millennio, sdutto e quasi inappetente, e questa volta non tralascia davvero niente. Laddove il primo reboot era algido, isterico e un po' paraculo, questo è caldo, meditabondo e schietto. La Christie è ampiamente omaggiata, gli indizi lussureggiano, a patto di possedere le celluline grigie del grande orso belga per coglierli, o - semplicemente - aver letto lo splendido giallo della stella di Torquay. Il cast è più dimesso rispetto l'All star dell'Orient Express ma, paradossalmente, è più funzionale, e servito da un superlativo tris di donne, Gadot, Mackey e Okonedo, che oscura il cast maschile, volutamente sottotono ai limiti dell'anonimato.
E se il Branagh regista si lascia un bel po' sedurre dalla computer grafica, il Branagh attore non nasconde, con gli effetti, le rughe esterne e quelle interne: questo nuovo Poirot, mai veramente interessato alle ghiottonerie, ma devastato dall'amore autentico, ben diverso dall'amore interessato e avido che anima la pellicola, ci piace, ci convince, ci fa attendere il prossimo (quale sarà? Delitto sotto il sole?, speriamo!).
La fotografia calda e sospesa di Haris Zambarloukos, e le musiche asciutte e struggenti di Patrick Doyle, inframezzate da un blues di altissimo livello, completano l'atmosfera di un film sicuramente da non perdere.
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