Regia di Kenneth Branagh vedi scheda film
Cinque anni dopo Assassinio sull’Orient Express e l’estenuante attesa che ha preceduto questo nuovo capitolo sempre diretto dall’attore e regista Kennet Branagh, fresco di numerose nomination agli Oscar 2022, girato però già nel 2019 e successivamente ereditata dalla Disney a seguito della fusione con l’ormai fu 20th Century Fox, previsto inizialmente in sala già due anni fa e poi ulteriormente posticipato (per ben cinque volte) causa pandemia di altri 24 mesi a cui poi seguirono anche innumerevoli polemiche attorno agli attori del cast che ne misero a rischi oaddirittura l’uscita al cinema (?), la nuova Assassino sul Nilo (remake del film del 1978 e della versione Tv del 2004) é figlio soprattutto della caparbia volontà dell’autore britannico di creare un universo cinematografico condiviso (un Christieverse?) dei romanzi di Agatha Christie, intenzione già espressa in occasione del primo capitolo (e chissà se i bassi incassi metteranno fine a tutto questo molto prima di quanto immaginato e sperato).
Indovina chi é al centro della scena?
Coerentemente con la precedente pellicola Branagh rilegge (ancora una volta) Agatha Christie in una chiave decisamente più pop (e poirotcentrica) e attraverso una trasposizione patinatissima, ma con una personalità capace di prescindere da ogni pretesa di realismo in favore invece di una dimensione più iperbolica, quasi favolistica (o superomistica?) ma che comunque (a suo modo) funziona.
Ma se Assassinio sull’Orient Express, una classica storia di vendetta con un copione piuttosto canonico, era contraddistinto da una fotografia freddissima, quasi glaciale, in linea non soltanto con l’ambientazione rigida e invernale ma anche con il tema predominante del racconto, con Assassinio sul Nilo la fotografia assume invece colori molto più caldi anche per le ambientazioni più esotiche ma soprattutto per assecondarne la natura decisamente più passionale ed emotiva al centro della storia, portando al contempo alla luce nuove sfumature di un personaggio (Poirot) che si presenta meno sicuro di sé rispetto al passato e che nasconde sotto i "baffi" (e nell’anima) molte ferite, più di quanto lascia trasparire.
E se la sceneggiatura di Michael Green (Logan, Blade Runner 2049), autore anche di questa nuova trasposizione, procede secondo i canoni del giallo classico rimanendo molto fedele al materiale originale ne esaltandone soprattutto gli aspetti più psicologici e morali in una sorta di parabola sulla vera natura del male, in questo nuovo lavoro ne riprende il taglio tragico e le disgregazioni filosofiche ma mettendo tuttavia al centro di tutto l’amore (passionale, materno o amicale) e tutto quanto consegue in termini di implicazioni, anche quelle più oscure (ossessioni, gelosie, invidie, inganno).
L’amore é il tema portante di un racconto che é già in partenza uno dei più brillanti della produzione letteraria originale e fonte di numerose trasposizioni cinematografiche e non, e se nei romanzi Poirot riesce a penetrare i segreti della natura umana anche grazie a una sincera empatia il protagonista di Branagh é invece un personaggio chiuso ed emotivamente bloccato, capace di mostrare insicurezze e fragilità inedite celate sotto una maschera (i suoi famosissimi baffi!) di narcisismo, supponenza e arroganza.
Finchè la barca va...
E se narrativamente (e visivamente) lo ritengo più riuscito rispetto ad Assassinio sull’Orient Express non é comunque esente da difetti. A incominciare da una CGI poco convincente proprio come nella precedente pellicola e la ricostruzione del tempio di Abu Simbel, veramente splendida, non é sufficiente e riscattarne la resa complessiva.
Alcune riprese in Egitto sono palesemente girate in studio (esattamente nei Longcross Studios in Inghilterra) come anche la resa del fiume Nilo e dell’imbarcazione risultato spesso finte, spesso a causa di una mancanza di luce naturale soppiantata da una illuminazione artificiale perç fin troppo evidente
Un altro aspetto peculiare della pellicola e l’evidente disomogenea degli archi temporali tra un primo atto dedicata alla presentazione dei personaggi e all’introduzione delle premesse di base della storia estremamente lunga e prolissa e una seconda parte dedicata all’omicidio e alle successive indagini fino alla risoluzione del caso invece inaspettatamente affrettata, con brevi sequenze che si alternano e susseguono rapidamente grazie a un montaggio incalzante che fa apparire il film troppo sbilanciato verso la prima parte.
Molto buona invece al colona sonora firmata da Patrick Doyle (Carlito’s Way, Enrico V, Molto rumore per nulla, L’alba del pianeta delle scimmie) mente un valore aggiunto del film é un cast corale che si rivela, seppur meno glamour, più efficace (e coerente) rispetto alla precedente pellicola.
Chi ha ordinato un Campari? (red passion).
E se la superstar israeliana Gal Gadot continua sempre a non convincermi affatto, sfoderando per l’ennesima volta tutte le incapacità attoriali, alternando a comando (!?) le sue sole tre espressioni (fatalona, accigliata e sorpresa), convincendomi sempre di più che non sia altro che una modella (volto e corpo da reclamizzare come in uno spot pubblicitario) prestato al cinema, sono rimasto invece piacevolmente sorpreso da Emma Mackey, star di Sex Education, che riesce a gestire splendidamente un personaggio complesso, soggiogato da emozioni sempre più estrema, ma di cui riesce a dare una caratterizzazione notevole e che, anche in sensualità, riesce a mettere in ombra anche la stessa protagonista del film.
Completano il cast Tom Bateman, un incolore Arnie Hammer, Annette Bening, un sorprendente Russell Brand, Rose Leslie, Ali Fazal, Laetitia Wright, Dawn French, Sophie Okonedo e Jennifer Saunders.
Alla fine del film manca solo la scritta “Poirot will return...". (Forse)
VOTO: 6,5
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