Regia di Antonio Manetti, Marco Manetti vedi scheda film
Ritorno in grande stile al genere dei Manetti Bros in quello che, in tutta probabilità, sarà ricordato quale loro migliore contributo al cinema italiano. Budget limitato, ma grande merito di fare tutto in casa senza rivolgersi neppure a un attore straniero (aspetto non certo da sottovalutare). Si parte dagli albi delle sorelle Giussani e si guardano certe soluzioni adottate negli anni '60 da “sua santità” Mario Bava per prendere una via più personale. Lo stile è fortemente legato al fumetto (si vedano la divisione dello schermo in rettangoli separati che mostrano la contemporaneità di una serie di sequenze; l'abbondanza di primissimi piani di coltelli che saettano in aria; la presenza di pareti rocciose che, un po' alla Batman, si alzano per svelare il nascondiglio del criminale; tratti stradali che si sollevano o si abbassano per agevolare le fughe; fumi asfissianti rilasciati dal tubo scappamento della jaguar e così via) che al taglio registico prettamente italico degli anni settanta. Tantissimi primissimi piani, inquadrature di piedi che camminano sul selciato di notte, inseguimenti automobilistici, regia dinamica e una fotografia darkeggiante vagamente addolcita dal ricorso alle luci arancioni.La fotografia e i costumi, in questo, agevolano il risultato finale, dando un tocco vintage a tutta l'operazione.
Da un punto di vista tecnico il film è riuscitissimo, peraltro rafforzato dall'interpretazione di una sensualissima Miriam Leone agghindata in modo calibrato (notevoli i costumi) e con tanto di chignon per interpretare Eva Kant. L'ex miss Italia riesce a non far rimpiangere le star queen d'oltreoceano, fornendo una prova all'altezza di Hollywood. Davvero brava e giustamente riconfermata per i sequel. Lo stesso non può dirsi dei colleghi maschi, assai deludenti e lontani dai corrispettivi del film di Bava incarnati da attori di ben altra classe quali John Philip Law e Adolfo Celi.
La sceneggiatura è quadrata (priva però di colpi di coda e tendente al prevedibile), ma fin troppo diluita da dialoghi e momenti che appesantiscono il ritmo. Non colpisce troppo nel segno neppure il soggetto che, pur attingendo dal fumetto, propone soluzioni a ripetizione che, a uno spettatore del duemila, rimandano di continuo alla serie di Mission Impossible non riuscendo a sorprendere o impressionare (lo stesso elaborato colpo della rapina in banca rimanda alla citata serie). L'idea infatti di utilizzare maschere che riproducono tratti di altri soggetti e, per questo, inducono in errore le persone è una trovata vista e rivista, a partire da Darkman (1990) di Sam Raimi per proseguire con i Mission Impossible di De Palma e Woo. I Manetti incentrano tutto su questo particolare, per dare avvio a una trama che mina, o dovrebbe farlo, la certezza degli spettatori in quello che vedono. Niente è come sembra. Diabolik, infatti, potrebbe essere chiunque e approfittare delle incertezze degli indagatori (lo farà). C'è da dare atto che l'effetto delle maschere è perfettamente reso da Simone Silvestri, autore di effetti speciali alla Stivaletti come si vede anche nella scena della decapitazione del finto Diabolik.
Le note dolenti, ad avviso di questo recensore, arrivano da Luca Marinelli, granitico come richiede il suo personaggio ma del tutto apatico e privato di quella carica erotica che dovrebbe invece sprigionare. La sua è interpretazione teatrale, fredda e robotica, peraltro in aperto contrasto alla caldissima verve di una Eva Kant che ricerca emozioni forti e le trova nello sprezzo del pericolo e nella trasgressione del vietato. Non impressiona neppure il Ginko di Mastandrea, intelligente, sì, ma impacciato e tutt'altro che atletico. Discreto invece il subdolo e viscido Alessandro Roja, che poi ritroveremo in ...Altrimenti ci Arrabbiamo.
Al di là dei difetti, Diabolik è comunque un B-Movie da sostenere a gran voce che cerca di farsi largo contro prodotti ad altissimo budget contro i quali la gran parte dei produttori locali preferisce non confrontarsi. C'è allora da dare merito ai Manetti Bros, produttori del film con la loro Mompracem, di aver accettato la sfida e di aver dimostrato che, tecnicamente, l'Italia può ancora dire la sua nel produrre film di genere. Purtroppo l'handicap di una distribuzione e di un capitale del tutto inadeguati rispetto a quelli hollywoodiani si fa sentire, senza comunque invalidare troppo la resa visiva. Da un punto di vista tecnico, infatti, i Manetti Bros riescono a tenere e forniscono quello che, in tutta probabilità, è il loro migliore film. Tiepido il riscontro ai botteghini, peraltro influenzato dalle restrizioni covid (io stesso non potetti andare a visionarlo al cinema come invece mi sarebbe piaciuto fare): 3.200.000 di euro di introiti, a fronte delle decine di milioni di dollari degli emuli americani. Un David di Donatello e un Nastro d'Argento per la migliore canzone originale (su un totale di diciannove nomination), sebbene sia lontana anni luce dalla magnifica Deep Deep Down musicata da Ennio Morricone che aveva accompagnato la visione del Diabolik baviano.
Si segnala infine il cammeo di Claudia Gerini, da sempre cultrice del fumetto e di Eva Kant (si ricorda la sua interpretazione nel videoclip di Lamberto Bava sulle note della canzone Amore Impossibile dei Tiromancino), a cui viene concessa (con grande gusto, devo dire) l'opportunità di (re)interpretare la sua diva dei fumetti preferita, pur se per via subdola e ingannatrice, nel film del definitivo lancio del personaggio.
In conclusione, bene, ma non benissimo. Gloria comunque al cinema bis italiano, l'unico che riesce quasi sempre a divertire.
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