Regia di John Madden vedi scheda film
È colorato, arguto, intelligente. Fin troppo intelligente; e la sua arguzia si spinge fino a edificare un’abilissima stratificazione di “gironi” culturali, ognuno dei quali capace di appagare e mandare a casa contenti della propria preparazione i più svariati livelli di pubblico. “Shakespeare in Love” è un’operazione costruita a tavolino con infinita, ammiccante furberia. Il che non significa che sia un film mal fatto o sgradevole. Anzi, ha la confezione impeccabile e accattivante del prodotto medio di lusso. Peccato che, con le sue strizzate d’occhio, sembri proporsi come qualcosa di più di un prodotto medio. Ambientato nel 1593 in una Londra di taverne, mercanti, attori e cortigiani sanguigni, ricostruisce una fantasiosa vita privata di Will Shakespeare, drammaturgo in bolletta e in crisi di ispirazione, che incontra il suo vero amore, una damigella della corte di Elisabetta I, e, caricato da questo sentimento, copia la vita e scrive “Romeo e Giulietta”. Il cinema ha fatto man bassa di Shakespeare, dando spesso i risultati migliori proprio negli adattamenti più liberi, perciò quello che irrita non è certo il delitto di lesa maestà. Quello che irrita è se mai, al contrario, la vaga supponenza con cui gli sceneggiatori (Marc Norman e, soprattutto, lo “shakespeariano” Tom Stoppard) cercano costantemente la complicità della cultura “alta”. Sotto il riferimento immediato a un testo che tutti conoscono e riconoscono, vengono disseminati senza sosta altri testi, battute, citazioni, quasi a dimostrare quanto siamo tutti, autori e pubblico, colti. Come si fa a farsi dispiacere un film così? Ma l’operazione è molto meno radicale di “Romeo e Giulietta” di Luhrmann, di “Riccardo III” di Loncraine, di “Hamlet” di Branagh, che avevano veramente il coraggio di riadattare, forzare, manomettere, per recuperare la passione immediata, popolare di Shakespeare. Qui invece nessuno corre nessun rischio, se non i due protagonisti, loro sì, tragicamente al di sotto di tutte le aspettative.
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