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Terminus Paradis

Regia di Lucian Pintilie vedi scheda film

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La recensione su Terminus Paradis

di degoffro
6 stelle

È lucido e impietoso, lo sguardo di Lucian Pintilie. È difficile per lui trovare un senso nelle vicende del suo sfortunato paese, la Romania. Lucian Pintilie esprime il suo pensiero sul presente della Romania ricorrendo ad una forma austera, volutamente poco spettacolare. Nella crudezza dello sguardo, nella lucida esposizione dei fatti, si profilano considerazioni amarissime su una crisi di valori profonda e radicata, la crisi di una società in cui l’attuale senso di vuoto molto ha da spartire con i fantasmi di un passato particolarmente ingombrante. Il film narra dell’incontro tra due giovani della periferia di Bucarest, il guardiano di maiali Mitou (Castel Cascaval), e la cameriera Norica (l’esordiente Dorina Chiriac), che, senza accorgersene, vivono la trasformazione di un’avventura casuale all’insegna del divertimento e della provocazione in una storia d’amore tanto tenace quanto sfortunata: una autentica storia di amor fou. Mitou, figlio di un funzionario del partito, è convinto che "Non c'è animale che assomigli di più ad un uomo del maiale: il maiale è capace di uccidere suo fratello per una scorza di zucca, il maiale è il fratello dell'uomo". Ribelle ad ogni regola e gerarchia, a tratti violento, sogna di evadere dalla Romania postcomunista per andare negli Stati Uniti ("Non rimarremo in questo posto di merda per tutta la vita: verremo anche noi in America"), - anche se, come si apprende durante una visita di suo fratello, matto come lui, gli Stati Uniti non sono poi quella meraviglia che dal fondo della disperazione rumena si può sognare. Norica, innocente nella sua depravazione, è invece promessa sposa al suo anziano e laido datore di lavoro. Mitou ha già deciso di lasciarsi alle spalle il rapporto conflittuale con la famiglia e un’esistenza randagia arruolandosi per due anni nell’esercito. Con uno stile asciutto e dagli sviluppi via via più drammatici, si assiste allo straniamento progressivo dalla realtà di Mitou, che vinto dalla passione per Norica rifiuta di accettare quello che la vita intende riservare ad entrambi. Approfittando della visita in caserma della ragazza, una notte evade per accompagnarla ad un concerto rock, incorrendo nella prima misura disciplinare. Più avanti, esasperato dal pensiero delle nozze già fissate tra Norica ed il viscido rivale, ruba addirittura un carro armato per distruggergli la taverna. Diventato un fuorilegge agli occhi di tutti, è spinto dall’impotenza e dalla disperazione a compiere l’irreparabile, un gesto estremo che spezza definitivamente ogni legame col mondo. Prima di arrendersi al destino di annientamento che lo attende al varco, Mitou riesce ad intravedere uno spiraglio di serenità, le nozze clandestine celebrate con Norica in una chiesa tutta bianca immersa in un paesaggio bucolico, l’immagine della pace interiore in una dimensione diversa, distante dal male del mondo. È la stessa immagine che chiude il film, che sembra aprire la strada ad un afflato di speranza per chi è sopravvissuto: Norica scende ad una piccola stazione e si dirige verso la chiesa dove si erano sposati, in braccio ha il bambino appena nato, che vuole far battezzare... Si tratta però di una speranza illusoria, conscia dell’esistenza imprescindibile del male e della disperazione. Non c'è dunque da illudersi, nel paesaggio umano di Pintillé non trova posto il lieto fine se è vero che anche la generosa e imprevedibile disponibilità a comprendere di un colonnello che ha avuto ai suoi ordini Mitou e che, per la sua comprensione ed umanità, sembra appartenere ad un altro mondo è destinata a finire male. Presentato a Venezia nel settembre del ’98, dove ha ottenuto il Premio speciale della Giuria, il film di Pintille, disperato, anarchico, estremo, poetico, stravagante, ostico e di cui non sempre si riescono a cogliere tutte le allusioni, con la secchezza di una vera inchiesta giornalistica e la profondità di sguardo di un indagine sociologica, rappresenta uno spaccato dello sbando in cui versa l’est europeo del post-comunismo, che non è fatto di rose e fiori come nelle speranze e nelle promesse ricevute. Non tutto però è immediatamente comprensibile per chi, come noi, è costretto a confrontarsi con segni appartenenti ad un’altra cultura, ad una realtà distante e contraddittoria. Pintille ha saputo crearne un profilo angosciante, ricorrendo ad uno sguardo freddo, severo, e sprofondando nuovamente in una spirale pessimistica capace di trasmettere allo spettatore un profondo senso di sconforto. Alla fine risulta quasi essere un paradossale elogio della purezza di spirito e della follia, unica forma possibile di resistenza umana in una società devastata e corrotta.
Voto: 6/7

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