Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Davanti ad un capolavoro, le parole sono sempre difficile da usare. Non amo il genere dei film di guerra, nemmeno i film che superino troppo di slancio le due ore (forse per questo ne ho tanto rimandato la visione, seppur “comodamente” domestica…), eppure, scenda dopo scena, sequenza dopo sequenza, ho subito avuto l’impressione di essere davanti ad un capolavoro. Ogni scena di questo film è un capolavoro, che sia di fuoco e fiamme o che sia di paradisiache nuotate sotto la superficie del mare, siano i volti, le espressioni, quelle degli indigeni come quelli dei soldati americani, o quelli dei soldati giapponesi al quale Mallik arriva a fatica, con la stessa fatica che i suoi antieroi a stelleestrisce impiegano a conquistare la collina dopo quasi un’ora e mezza di film, i “nemici” che Mallik tratta con pudore e con rispetto, da buon pacifista. Ogni inquadratura è un capolavoro, sia essa sul campo dei prigionieri stremati e agonizzanti, sia essa sui tremendi bombardamenti, o sull’espressione di terrore negli occhi di tutti gli eroi, o sia soltanto su un improvviso animale selvatico, o sull’altalena del verde giardino americano da dove l’angelica donna (la donna di ogni soldato) infonde forse l’unico coraggio possibile al suo uomo lontano…
E’ un paradiso di stelle questo film (al di là del lungo elenco di attori, tutti nomi eccellenti e qui al di sopra della loro normale eccellenza), un inferno di riflessioni, un tentativo riuscitissimo di unire Terre e Cieli ricorrendo a ciò che più di ogni altra cosa li divide, e cioè l’odio tra gli uomini.
“Dicono dell’immortalità, ma io non l’ho mai vista” dice uno dei protagonisti in una delle scene iniziali. Forse, invece, questo film capolavoro ne attesta inequivocabilmente l’esistenza.
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