Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
È un film statico, claustrofobico, verboso ... eppure, vedendolo, mi ha avvinto per il suo rigore formale, lo stile asciutto, l'eccellente recitazione di tutti i protagonisti, la splendida fotografia in b/n, la costante attenzione del regista di commentare il testo con soluzioni visive
Söderberg
In questo film appare evidente come il regista abbia dedicato particolare cura ed attenzionealla composizione delle inquadrature ed alla resa fotografica, senza cadere nella ricercatezza fine a sé stessa e senza lasciare nulla o quasi nulla al caso. Sono molto frequenti i piani-sequenza che indirizzano l'attenzione sui personaggi e sui loro studiati movimenti, spesso ripresi in primo piano, per evidenziarne ogni sfumatura psicologica.
Una scelta stilistica molto significativa sono i ripetuti richiami metaforici che contrappuntano lo svolgimento della vicenda (non conosco il dramma di Söderberg e non so quanto di loro ci sia nel testo originale): Cito, ad esempio (data la loro sottigliezza, molti mi saranno sfuggiti), il simbolismo dei dialoghi di Gertrud con il marito e con Gabriel Lindman, in cui i personaggi /eludendo la classica regola del ca campo/controcampo) non si guardano in viso ma in direzioni diverse sottolineando l'inconciliabilità dei loro sentimenti; le due scene in cui Gertrud e l'amante Erland Jansson si incontrano al parco davanti alla statua copia della Venere Capitolina, dea dell'amore; per coprire il tradimento del marito, Gertrud dice di andare all'opera a vedere il Fidelio, il cui titolo originale, ironicamente, era "Leonora o l'amor coniugale" (poi modificato da Beethoven dopo l'insuccesso della prima rappresentazione); Gertrud indossa abiti chiari finché è formalmente legata al marito, ma quando decide di lasciarlo definitivamente indossa abiti scuri, come se fosse vedova; la scenda dell'ultimo incontro fra Gabriel Lindman e Gertrud in cui il poeta accende due candele davanti ad uno specchio (poi significativamente spente da Gertrud dopo il colloquio), rappresentando la speranza di rinverdire il loro rapporto e, nella stessa scena, Gertrud appare inizialmente riflessa nello specchio anziché di persona, simboleggiando l'immagine idealizzata che Garbiel ha di lei; nel dialogo seguente ad un certo punto i due personaggi sono inquadrati con i corpi sovrapposti come se fossero un unico corpo, ma con le teste divergenti ad angolo retto, a dimostrazione dell'inconciliabilità delle loro aspirazioni.; celebre poi, l'inquadratura finale di una porta chiusa per significare la definitiva rinuncia di Gertrud ai rapporti amorosi.
Se si vogliono trovare dei limiti al film, questi potrebbero essere non nella messa in scena, ma nel testo. Gertrud è senz'altro il personaggio più forte e determinato, caèace di scelte dure e difficili pur di non rinnegare i propri ideali, ma non suscita la mia simpatia, dovuta anche al fatto che non sopporto gli assolutismi. Ho il dubbio che la sua ricerca dell'amore totale sia anche frutto della sua appartenenza all'alta borghesia, pertanto lontana dai problemi della vita quotidiana, il che le permette di seguire più facilmente il proprio ideale di vita: Inoltre, mi sono chiesto come si sarebbe comportata se avesse avuto dei figli: non averne semplifica molto la sua scelta, ma il problema è stato opportunamente eluso da Söderberg.
Considero, comunque, il filma di tale qualità da farne un capolavoro (quale dei film di Dreyer non lo è?) e deploro che non compaia nella programmazione televisiva. Pubblico questa recensione non a caso l'8 marzo.
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