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Gertrud

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Gertrud

di Inside man
6 stelle

Ribaltando il commento di FilmTv, sostengo senza indugio che all'epoca il film fu ben compreso, risultando effettivamente statico, verboso, nient'affatto moderno (tuttalpiù si nota una certa ascendenza verso l'ultimo, dimenticabile, De Oliveira). Narrazione e struttura tornano agli stilemi del muto senza la carica espressiva e l'inconfondibile armoniosa lentezza artefice allora di potenti atmosfere. Nel 1964 un simile discorso era decisamente fuori tempo massimo, insieme al pleonastico uso del decantato piano-sequenza versione camera-stylo. In "Gertrud" vince un’eloquenza pesantemente intellettualizzata nella forma, ed aritmica nei modesti flashback fotograficamente sparati. Non giovano neppure le recitazioni alla Bertini (analogamente imputabili all'impostazione del cineasta), ove gli sguardi magniloquenti della poco esaltante protagonista suscitano un immediato confronto con la profonda intensità della Falconetti/Giovanna d'Arco (quella sì terribilmente antesignana), ed il pianto penoso dello scrittore respinto si accosta irrispettosamente al magnifico travaglio interiore dell'Absalon nel “Dies Irae” (prediletta fonte d’ispirazione bergmaniana). Ovviamente non tutto è negativo, di gran classe la rigorosa messa in scena, ed è chiaramente pregevole lo scavo introspettivo di una sofferta figura femminile dalle particolari ambiguità psicologiche, egoisticamente ed utopicamente dominata dalla ricerca dell'amore ideale, assoluto, causa di un intransigente rigetto sentimentale a sua volta diretto verso un’emancipazione sostanzialmente amara, destinata a concludersi in mesta solitudine (tormenti oggi emblematicamente in contrasto, probabilmente, con quanto lo stesso Dreyer intendesse invece trasmettere in maniera più favorevole). Pur raccogliendo la massima benevolenza possibile, rimane un film parzialmente riuscito, cui si aggancia l'incontestabile assunto che l'artista danese, mito tangibile dell’arte cinematografica, sia il naturale destinatario di un’incondizionata idolatria abbastanza convenzionale (al celebratissimo ed anziano Picasso bastava tracciar un paio di segni ovunque, per ottenere miriadi di elogi critici conditi da stravaganti significati e manciate di miliardi per i fortunati eredi). Quindi stra-regalate le 5 stelle, pura rendita del glorioso passato. Io, questa volta, sto con Grazzini and Co.

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