Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
La premessa del film sembra un condensato di "Casa di bambola", e, in effetti, si può dire che la storia di Gertrud inizi dalla presa di coscienza con cui il dramma ibseniano finisce. Dreyer ci presenta l'esperienza della ricerca della felicità e dell'innamoramento giunta a maturazione, e rielaborata razionalmente, mano a mano che essa si rivela all'animo della protagonista. Per forza di cose il film ha un aspetto freddo ed artificioso, e innaturalmente rarefatto. Le emozioni sono infatti sapientemente stemperate dalla profondità di lei e dall'insensibilità degli uomini che la circondano: su un versante si distingue la saggezza femminile, che con coraggio si apre alla passione, sul versante opposto l'ambizione maschile, che si perde, inseguendo ciecamente i propri sterili obiettivi.
Questa pellicola è asciutta e intellettuale, rigorosamente costruita su un impianto dialettico di tesi e antitesi, che è poi il risultato dell'analisi letteraria e filosofica di un comune dato reale. Quelle che emergono sono categorie universali del sentire: la mancanza di individualità ci restituisce una riflessione pura ed astratta sull'amore coniugale e sull'amore istintuale in quanto tali, al di là di ogni fuorviante connotazione personale. Un capolavoro di onestà e disincanto.
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