Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Ordet, il capolavoro fra i capolavori di Dreyer, rispecchia le qualità peculiari del regista: stile austero, ritmo solenne, messinscena meticolosa in cui nulla è casuale, contrasto fra l’espressione della libertà di scelta individuale e l’oppressione di regole esteriori, qualità valorizzate dalle efficaci interpretazioni degli attori.
Tra i grandi capolavori di Dreyer, uno dei registi più grandi in assoluto della storia del cinema, Ordet è forse l’opera più alta e compiuta. Nei film di Dreyer è costante la sobrietà dello stile associata ad una messinscena in cui tutto è predisposto con cura per illustrare il senso della vicenda. Questa perfezione è marcata dal ritmo pacato (non mi piace definirlo con “lento”, parola che implica difficoltà) che è anche in perfetta armonia con la realtà dei tempi in cui si svolge l’azione, in altre parole questo incedere austero è necessario per l’equilibrio stilistico e per il realismo della rappresentazione.
Dreyer usa la fotografia esaltando la capacità del bianconero a caratterizzare l’atmosfera usando toni morbidi per situazioni rilassate e contrasti netti per le scene drammatiche; sono molto suggestive nei rari esterni le inquadrature di piante ondeggianti al vento (elemento pittografico già utilizzato da Dovženko) e il cielo che da terso e luminoso diventa più scuro e nuvoloso con l’intensificarsi del dramma. Questa capacità di Dreyer di esprimersi con grande efficacia direttamente con le immagini, è condivisa con gli altri grandi registi che hanno iniziato all’epoca del muto (e anche dell’espressionismo) come Lang, Buñuel, Ejzenštejn, Mizoguchi, Ozu, Ford.
In Ordet i personaggi sono rappresentativi di diversi atteggiamenti nei confronti della fede religiosa e della possibilità dei miracoli e il pathos è costruito sulla dialettica fra la sincera ricerca individuale di Dio (volta ad accettare anche l’assurdo) contrapposta alla fredda astrattezza e razionalità della teologia e alla supina partecipazione ai riti. In realtà credo che le grandi opere di Dreyer, non solo Ordet, abbiano come sottofondo una rilettura del pensiero di Kierkegaard (non a caso citato come causa della follia di Johannes) e la sua messa in pratica nei casi concreti.
L’anziano padre Morten Borgen (ottimamente interpretato da Henrik Malberg), il personaggio più umano e dolente del film, occupa il ruolo centrale. Adepto di una setta protestante, ha contribuito in passato alla evangelizzazione del villaggio, ma ora è stanco e dubbioso; soffre la (presunta) follia del figlio Johannes (ben interpretato da Preben Lerdorff Rye, attore che aveva già lavorato con Dreyer in Dies Irae), ma respinge categoricamente l’idea di internarlo preferendo averlo in famiglia ed è addolorato dalla perdita della fede del figlio maggiore Mikkel; rifiuta dapprima al figlio minore Anders di fidanzarsi con Anne, la figlia del sarto Petersen, intransigente esponente di un setta protestante diversa ed avversa a quella di Morten Borgen, poi, con la mediazione di Inger (ben resa da Brigitte Federspiel), vi acconsente e si scontra duramente con Petersen per il suo rifiuto dovuto alla diversità di fede.
Trovo particolarmente significativo e illuminante per la tematica del film il dialogo con la nuora Inger in cui Morten riconosce che il suo smarrimento è dovuto al fatto che Dio non può esaudire le sue preghiere volte a far rinsavire Johannes per la mancanza di fede nella possibilità che avvenga il miracolo e la nuora ribatte che i miracoli avvengono ancora e siamo noi a non accorgerci dei miracoli compiuti in silenzio.
Inger, animata da una fede vissuta serenamente e con sincerità, con la sua dolcezza e con il suo buon senso si adopera per il bene dei familiari. È lei che assume il ruolo di agnello sacrificale risolvendo tutte le situazioni difficili (è questo il vero miracolo silente), permettendo con la sua morte la riconciliazione fra il padre e Petersen, il “rinsavimento” di Johannes, il ritorno alla fede di Mikkel.
Johannes è ritenuto folle perché si crede la reincarnazione di Gesù Cristo ma le sue prediche sono sensate, la sua profezia sulla morte incombente sulla famiglia si rivela reale, il suo giudizio sul pastore è esatto: più che follia, la sua è un’esaltazione mistica che lo porta ad eludere la realtà quotidiana ma a vedere al di là di essa. È emblematica la sua evoluzione, infatti la sua iniziale esaltazione non gli permette di operare il miracolo che invece avviene quando riacquista la piena consapevolezza di sé e ritorna in famiglia ed è spronato dall’innocente e limpida fede della nipotina.
Il nuovo pastore è la figura più negativa del dramma: ha l’aspetto più di un elegante professionista che di un sincero religioso; in lui il sentimento religioso appare come sterilizzato ed è addirittura il più scettico di tutti sulla possibilità dei miracoli che perfino il dottore miscredente non esclude del tutto. È scioccato dall’incontro con Johannes che tuttavia gli svela la sua ipocrisia dicendogli: “Tu, che predichi la fede, sei privo di fede più degli altri”.
In conclusione Ordet è un capolavoro assoluto per la magnifica resa visiva e per lo spessore dei contenuti.
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