Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Ogni inquadratura dei film di Dreyer è un piccolo quadro, che riesce perfettamente a esprimere visivamente ciò che accade verbalmente o emotivamente nella scena. La sua regia muta e si crea ogni volta differente a seconda delle tematiche e delle emozioni che il film che sta dirigendo deve esprimere, così, qui la troviamo rigida come dogma religiosi, che sta fissa sui personaggi che parlano o professano con sincere convinzioni le loro differenti fedi e il loro differente modo di concepirle e seguirle, che dal basso riprende, enfatizzando la sua figura mistica il “pazzo” Johannes, o che si muove lentamente su se stessa nel centro della stanza mettendo in evidenza pian piano i diversi personaggi che interagiscono fra di loro come nella scena del parto.
Purtroppo il grande regista danese pare esser stato dimentico e forse grazie al nuovo cinema danese che pare aver preso piede (primo fra tutti Lars von Trier, che più di una volta ha citato e ammesso di amare e “seguire” il grande maestro, arrivando al punto di dire di esserne l’unico vero erede) ritorna a essere menzionato.
Il messaggio del film è attualissimo e la pellicola, che durante quasi tutta la durata del film di emozioni (nel senso più puro e viscerale) ne regala poche, nel finale, invece, tocca un picco davvero altissimo.
Ottimo.
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