Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Parlare di capolavoro, nel caso di questo film di Dreyer, è perfino limitativo. E viene semmai da pensare a quanto merito sia del regista e quanto del dramma (di Kaj Munk, un pastore protestante ucciso nel 1944 dai nazisti che occupavano la Danimarca) che sta all'origine di questo film eccezionale per rigore morale e cinematografico, che riesce a colpire nel profondo con le tematiche religiose che hanno segnato per sempre Morten Borgen e i suoi tre figli: Mikkel, il più grande, sposato, ormai privo della fede; Johannes che, mandato a studiare teologia, è rimasto colpito da Kierkegaard ed è impazzito, credendosi la reincarnazione di Gesù Cristo; Anders, il più giovane, innamorato di una ragazza che gli viene negata perché di un'altra confessione religiosa. Ci sono due o tre cose che colpiscono più delle altre. La prima è il paragone, che non può che nascere spontaneo, con i film di Ingmar Bergman: mi sembra che "Ordet" abbia una maggiore forza nel penetrare nel cuore dello spettatore, mentre i film del regista svedese sono più cerebrali, anche se al fondo c'è lo stesso interrogativo, ed infatti Mikkel, colpito dal dolore, esclama «che senso ha tutto questo?». Si deve poi sottolineare il legame che corre tra Johannes, che preannuncia sventure ma anche miracoli, Inger, che già ad inizio film ribatte al marito che anche oggi (il film si svolge nel 1925) sono possibili i miracoli, purché ci si creda, e la piccola Maren, che spera nel miracolo con animo puro, come se si trattasse di un gioco. Infine l'interpretazione degli attori che danno vita ai personaggi centrali del film: il vecchio Malberg nella parte di Morten e Lerdorff Rye nella parte di questo nuovo Messia (come non pensare che Mike Leigh non si sia ispirato a questo Johannes nel tratteggiare il suo Johnny, interpretato da David Thewlis in "Naked" del 1993?), che parla con andamento cantilenante e sguardo perso nel vuoto da vero profeta. Da tutto questo sgorga felicemente un film denso, vitale, molto dialogato, a tratti ironico (si veda l'incontro di Johannes con il pastore) e con un finale intensamente emozionante (che avrei forse tagliato un paio di minuti prima), di quelli che non si dimentica facilmente.
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