Regia di Pawo Choyning Dorji vedi scheda film
Primo film bhutanese candidato agli Oscar, Lunana: il villaggio alla fine del mondo (con il titolo originale, Lunana: a yak in the classroom, che in realtà dice molto di più), è un film scritto e diretto da Pawo Choyning Dorji, uscito nel 2019 ma arrivato in Occidente con ben tre anni di ritardo, giusto per farci capire quanto sia distante il Bhutan.
Piccolo stato tra Cina e India, il Bhutan è conosciuto anche come uno degli stati più felici al mondo, tanto che si da’ più importanza alla felicità interna lorda che al prodotto interno lordo. Questo minuscolo particolare, che viene ripetuto anche nel film, non basta però a Ugyen Dorj per essere contento, poiché della felicità del e nel suo paese non sa cosa farne. Giubbotto di pelle, chitarra alla mano e una voce piacevole, Ugyen sogna l’Australia per inseguire il suo sogno di diventare un cantante. Troppo piccolo il Bhutan per contenere i suoi sogni. In attesa del visto, Ugyen fa l’insegnante, ruolo riconosciuto e stimato in tutto il paese (perché capace di toccare il futuro) ma che lo stesso Ugyen non vuole più fare. Nonostante questa sua volontà venga espressa chiaramente, viene spedito a Lunana, sperduto villaggio di montagna con appena 56 abitanti, dove alcuni bambini aspettano ansiosamente il nuovo insegnante per ricominciare gli studi.
Partendo da una trama semplice e conosciuta (Io speriamo che me la cavo o Green Grass of Home di Hou Hsiao Hsien) ma con una sorprendente leggerezza, tant’è che il film sembra volare (al netto di una sceneggiatura che comunque non nasconde qualche incertezza), Lunana ci porta alla scoperta di uno scorcio di Bhutan rurale ma vivace. Accessibile solo per i più volenterosi e temerari (Cristo sembra essersi fermato alla vicina Gasa) dopo ben otto giorni di viaggio a piedi, quasi sempre in salita e nel fango, tutto documentato con una lunga sequenza dove fatica e desolazione (da parte del maestro) si uniscono alla bontà e alla speranza delle due guide del villaggio, finalmente felici che nel loro villaggio giunga qualcuno che possa insegnare ai bambini. Differente stato d'animo che è poi il punto cardine dell'intera pellicola.
A differenza di Corzano, il paese di Io speriamo che me la cavo, dove la bruttezza del cemento e le disuguaglianze della periferia hanno già fatto enormi danni ai bambini, nella sperduta Lunana, tra le distese di montagne e le praterie dove gli Yak vivono senza preoccupazioni, pur nella distanza e con la mancanza di tante cose essenziali (elettricità, carta igienica e persino una lavagna), il desiderio di imparare non manca nelle intenzioni dei bambini.
Sebbene la presenza di questi tratti renda molto piacevole e interessante il film, la descrizione di Lunana e dei suoi abitanti appare fin troppo idilliaca. Chiuso in diversi schermi molto ricorrenti (su tutti: l’eterno conflitto tra campagna e città), finisce per cedere il fianco a una narrazione a tratti troppo retorica e sentimentalista, col tentativo di dare all’opera un tono poetico, togliendo spazio ad alcune situazioni che potevano essere approfondite meglio.
Pur avendo “perso” l’oscar per colpa del giapponese Drive my car, avrà sicuramente fatto piacere al regista un successo di questa portata, per sé, il suo film e per il suo piccolo paese.
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