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Train de vie - Un treno per vivere

Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film

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La recensione su Train de vie - Un treno per vivere

di cazzeggiatore del millennio
10 stelle

Viaggio in un sogno ad occhi aperti.

Durante la Seconda Guerra Mondiale un villaggio ebreo sta per essere invaso dai nazisti, ne nascerà una folle fuga.

Il tema dell’Olocausto non è mai facile e i temi che costringe ad affrontare sono atroci, qui non manca niente, certo che la leggerezza con cui è affrontato lascia di stucco; ironia, ironia vera come può esserlo la più goliardica commedia leggera, immersa però nel contesto di quanto accaduto in quegli anni passati alla storia.

Viene descritta la società ebrea con tutti i suoi vizi e le sue contraddizioni, la caricatura di un’avarizia dinnanzi alla quale la tragedia nazista sembra solo l’ennesimo sassolino rispetto a millenni di quegli usi e costumi ormai facenti parte del DNA stesso dei protagonisti. L’umanità di un popolo rispetto alla freddezza di un’ideologia atroce e cieca, un popolo spesso disprezzato ma che, quando se ne va perché perseguitato, lascia un terribile vuoto, economico prima di tutto; non è soltanto la mancanza di un capro espiatorio ad intimorire i vicini con l’arrivo dei nazisti, è la perdita per la società del vero e proprio fulcro economico.

Nessun tema viene messo da parte, come ad esempio la fallacità delle idee politiche senza una vera e propria comprensione del contesto in cui ci si trova o le distinzioni di casta che – seppur fittizie – insinuano l’animo come un germe: si ha un dito e ci si prende il braccio; le conseguenze poi di questo razzismo insensato che spinge due popoli reietti ad unirsi in fratellanza come gli zingari e gli ebrei, popoli questi ben poco simili l’uno con l’altro. L’insensatezza poi della guerra che non ha eroi, come i partigiani che nel loro dignitosissimo compito però finiscono per litigare indecisi sull’uccisione del tale o del tal altro, merita lui di morire? e l’altro? chi è il nemico?

La regia poi è pienamente all’altezza, non è il cinepanettone che brucia ogni tema nel “Se, vabbé”, si sa cosa inquadrare e soprattutto come seguirlo fino alla fine della scena; nei momenti tesi il montaggio è serrato e in quelli più corali la telecamera vola tra i presenti facendoti quasi provar la sensazione di star lì, una regia sicura e con polso, che diviene ardita a tratti e soprattutto senza spocchia: rispetta sempre l’andamento del film.

Un finale poi che porta inevitabilmente alla realtà; in mezzo all’ironia tipicamente ebrea a volte concedendosi parodistiche discese nell’umorismo ebreo più tipico e volutamente anticinematografico, c’è un vero e proprio pensiero. Vien da pensare, mai è accomodante riflettere su qualcosa, non fa solo ridere, non è una semplice cronaca, per questo è imperdibile.

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