Regia di Radu Mihaileanu vedi scheda film
“ Ecco la storia del mio shtetl…è QUASI vera !”
Ho avuto modo di apprezzare per la terza volta il talento di Mihaileanu per poi accorgermi di aver seguito un ordine cronologico capovolto recensendo in sequenza prima “Il Concerto” del 2009, seguito da “Vai e Vivrai” del 2005 e ora “Train de Vie” del 1998. E’ d’obbligo notare alcuni particolari, come la predilezione del regista franco-rumeno per due nomi: il primo (per il quale non è dato conoscerne le motivazioni), “ Shlomo”, è il nome del “pazzo/filosofo” etoile di questo film e, altresì, il nome del protagonista di “Vai e Vivrai”; mentre il nome “Mordechai” nasconde motivi affettivi, così si chiamava infatti il padre di Radu prima di cambiare generalità passando da Mordechai Buchman a Ion Mihaileanu per sfuggire alle discriminazioni del regime di Ceausescu dopo la seconda Guerra Mondiale (nel corso della quale si era salvato in extremis riuscendo a fuggire da un lagher nazista).
Pre-considerazioni.
Di norma il solo intento di visionare un film su queste tematiche innesca in me le stesse sensazioni che, presumo, potenzialmente potrebbe provare la totalità degli spettatori, ovvero: “ Ecco un’altra opera volta a procurarci quel tipo di vibrazioni percepibili come un’ennesima incontestabile prova che, a dispetto dell’intelligenza e coscienza di cui l’evoluzione ha voluto dotarci, l’animale uomo è riuscito, elaborando studiate atrocità, a dimostrare nuovamente stupefacenti doti di malvagità e perfidia attraverso una luciferina quintessenza del male!
Considerazioni parziali.
Vero, ma questa volta tali percezioni risultano attenuate in quanto il binario di Mihaileanu è in discesa, per cui il treno con il suo carico umano acquisisce velocità nell’interagire con lo spettatore. Per di più, pur non essendo propriamente aerodinamico, possiede un CX in grado di garantirgli una penetrazione “psicodinamica” di tutto rispetto grazie a sequenze sottili e intelligenti quanto le innumerevoli battute di humor yiddish di cui l’opera è intrisa, permettendogli così di affievolire in buona percentuale il “peso” delle tematiche trattate.
Nonché perplessità.
L’anno precedente Benigni si era cimentato con “La Vita è Bella”, prima e coraggiosa opera dissacrante sulla Shoah ottimamente accolta da pubblico e critica ma… opportuno sottolineare una fondamentale differenza fra lo script di Benigni e quello di Mihaileanu: il primo, seppur nella tragicità del contesto, punta sulla divertente tragicommedia circoscritta nel rapporto tra lui e la sua famiglia, in particolare con il figlio, ma le dinamiche e le realtà degli altri deportati all’interno del lagher vengono solo sfiorate riflettendo quelle della storiografia ufficiale. Il regista franco/rumeno azzarda ben di più ironizzando sull’intera comunità dello shtetl e, per il pubblico “(in)direttamente coinvolto”, il suo lavoro potrebbe avere il sapore della beffa o comunque dell’eccessiva nonchalance con cui ha osato approcciarsi all’argomento, ovvero con toni che potrebbero essere recepiti virtualmente offensivi o comunque poco riguardosi della Memoria.
Queste remore potrebbero rivelarsi non del tutto fuori luogo se il “ macchinista” non fosse stato uno di loro, uno la cui famiglia poteva “vantare” l’esperienza in diretta salvando la pelle in extremis solo grazie a fortuite circostanze e azzeccati escamotages!
Lo status di Radu Mihaileanu prevedeva quel passepartout etico idoneo a consentirgli l’immunità da qualsiasi critica in tal senso, anzi, potrebbe non essere priva di fondamento l’ipotesi che tal modus operandi gli sia stato di giovamento per esorcizzare quelle reminescenze del vissuto che non si esclude alberghino tuttora inquietamente nel suo inconscio.
Si discute su dove acquistare motrice e vagoni.
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Pseudo-quasi sinossi.
Sintetizzando macroscopicamente, il film espone l’evoluzione della “pazza” idea di Shlomo (quello che dovrebbe essere il matto dello shtetl – villaggio ebraico dell’Europa dell’Est-) di organizzare una vera e propria derelizione globale della comunità attraverso un finto treno di deportati per ingannare i veri nazisti ed evitare in tal modo di farsi deportare in toto da questi ultimi. Fin dall’incipit (alla notizia dello stesso Shlomo sulla deportazione in massa dello shtetl vicino, tutti corrono in numero crescente a braccia levate per le stradine del villaggio) si evince il carattere grottesco dell’opera di Mihaileanu con una serie di sequenze avvalorate da una sceneggiatura davvero unica. Gli allucinanti preparativi per organizzare l’acquisto e l’allestimento del treno, chi lo condurrà (il macchinista diverrà tale studiando un apposito opuscolo di istruzioni), chi saranno i “nazisti” e chi i “deportati”, il tutto evolverà in una globale metafora sulla debolezza delle (in)certezze umane.
Nel corso della visione non è possibile evitare un’alternanza di sensazioni opposte fra loro ma, sottolineo, non dipendenti dalle sequenze come solitamente è normale che sia, bensì dalle percezioni del nostro io più profondo, comunque condizionato dal conoscere consapevolmente la realtà storica; per tale motivo le molteplici scene esilaranti sortiscono a volte ilarità e a volte tristezza. In tutto il film, epilogo a parte, una sola sequenza è volutamente toccante e struggente: mi riferisco al trasporto, da parte del rabbino, della Torah sul treno pronunciando in yiddish la preghiera affinché “L’Eterno benedica questo treno, che possa portarci tutti in salute in Palestina. Figli di Abramo e di Mosè, salite”!
Accennavo in precedenza alla metafora globale: durante il viaggio succede di tutto e di più, e il treno diventa un perfetto microcosmo con tutti i pregi e difetti della civile convivenza; i finti nazisti che, eccitati dalla superba performance del loro “capo” Mordechai in occasione del dialogo sostenuto con un vero ufficiale nazista, si entusiasmano esaltandosi e immedesimandosi eccessivamente nel loro ruolo (di nuovo mi sovviene l’inquietante film documento “The Stanford Prison experiment” sugli studi del dott. Zimbardo sulla “deindividuazione psicologica”) provocando le ire di un gruppo di “ deportati” capeggiati da Yossi, il quale organizza un’improbabile fazione filobolscevica con tanto di Soviet in ogni vagone. Gli stessi “deportati ortodossi” riescono a escogitare ogni tipo di espediente cavandosela in situazioni al limite dell’assurdo ottenendo persino dei viveri da parte di vere pattuglie tedesche incontrate in una delle loro traversie di viaggio. Per non parlare dei veri sabotatori della resistenza comunista, frustrati a causa dei continui esilaranti fallimenti dei loro attentati a quello che pensano essere realmente un treno condotto da nazisti.
Shlomo.
Sequenze a caso con perle di sceneggiatura per un assaggio sul tenore dei dialoghi dello stesso Mihaileanu adattati per la versione italiana da Moni Ovadia.
Durante i preparativi del treno, Yossi viene inviato in città dalla quale torna proletario “convinto”; lo troviamo in piazza sbarbato e con una stella rossa sul berretto. Con circospezione e tono sommesso al gruppetto dei suoi seguaci: “Il Messia è finalmente arrivato!" – “ Tu lo hai visto?"- “ Certo che l’ho visto, come adesso vedo te, e anche lui sta cambiando la mentalità a favore di un mondo nuovo”. Di fronte alla comprensibile perplessità degli astanti elabora la frase clou dell’arringa: “Il Messia noi lo chiamiamo così, ma non sappiamo chi è. E’ un nome in codice per non essere riconosciuto, smascherato e arrestato. Allo stesso modo noi agiamo nell’ombra, affrontando il pericolo in incognita!" Imperdibile scena che però termina con una tirata d’orecchi da parte del sopraggiunto rabbino il quale, senza troppi convenevoli, spedisce tutti a casa.
Chiaramente il treno non risulta negli orari ufficiali, e quindi alla prima stazione incontrata sul percorso il macchinista esprime le sue preoccupazioni: “Siamo passati per una stazione e non era previsto!" Il rabbino: “Una stazione? Davvero? Questo è un treno, vuoi che passi per un porto?"
Sequenza del miracolo: A treno fermo, mentre tutti stanno discutendo a lato del binario, si sente in lontananza il sopraggiungere di un altro treno che però, poco prima di scontrarsi frontalmente, devia su un secondo binario non visibile dalla postazione dei partecipanti alla discussione! Il rabbino: “Miracolo, ci è passato sotto! Potenza del Dio degli ebrei che ha scavato un tunnel in così poco tempo”!!!
La bellissima Agathe de La Fontaine è Esther e di lei sono innamorati tutti i giovani del villaggio, ma quando suo padre viene a sapere del flirt che ha intrapreso con colui che non solo è il figlio di Mordechai, “il capo dei nazi”, ma è nel contempo simpatizzante del neo gruppo filobolscevico di Yossi, lo vediamo imprecare: “E non solo è nazista, è pure comunista!"
Altra sequenza da sballo con i partigiani rivoluzionari shoccati alla vista delle finte (ma loro non pensano siano tali) truppe naziste mentre recitano la preghiera del venerdì sera insieme ai deportati: “Le truppe stanno pregando con i prigionieri! Pazzesco, che si tratti di tedeschi ebrei?"
La sequenza di Shlomo mentre gioca a scacchi con Mordechai sul vagone di quest’ultimo è una delle poche prive di sarcasmo in quanto cristallina, luminosa e rivelatrice della vera indole di quello che viene (o per lo meno veniva) considerato il pazzo del villaggio. Mordechai:” Come mai sei tu il matto?" Shlomo: “Per caso. Io volevo fare il rabbino ma il posto era già occupato, e visto che mancava il matto ho pensato: fai il matto sennò lo fanno loro!" Mordechai: “Ma perché non hai una moglie, dei bambini?"
Shlomo: “Eh no, non sono mica matto, li avrei amati troppo e sarei morto d’amore!"
Un cenno lo merita certamente l’esilarante scena dell’equivoco che permette di rivelare gli zingari agli ebrei e viceversa (entrambi travestiti da nazisti ) ma non voglio spoilerare eccessivamente quindi mi limiterò a raccomandare di seguire con attenzione l’eccezionale esibizione densa di phatos alla tremula luce del falò, una scenografia da sballo con un concerto di suoni e colori, o meglio, una sfida tra ebrei e zingari a colpi di balli folkloristici, violini, trombe e tamburi.
Al ballo.
Ultimi kilometri.
Il mattino successivo il viaggio riprende, ma avvertiamo nell’aria un cambio di registro. La regia ci sta preparando a nuove sensazioni, le musiche e le stesse sequenze hanno perso il brio fin qui ostentato, e in un vagone dove Esther sta amoreggiando con il suo nuovo ragazzo appare Shlomo che, non senza una lacrima, confida di essere stato da sempre innamorato di lei.
E con il “sei tu”, pronunciato da Shlomo in risposta a Esther, si palesa il disagio vissuto da quello che era parso un poveretto compatito e snobbato dalla comunità, ma che ora, al contrario, si rivela portatore di una non comune sensibilità evidenziando quei sentimenti che riesce solo adesso a esternare presagendo l’infelice epilogo. Dopodiché continuerà il suo pianto solitario seduto al suo posto preferito: il tetto del treno !
Ma Mihaileanu ora ha in programma di non proseguire con la sola fantasia; una pianificazione che potremmo interpretare come uno scambio a cui il treno sta andando incontro raggiunto il quale, sdoppiandosi, darà origine a due treni, quello a destra proseguirà il suo immaginario viaggio verso la Terra Santa accompagnato dalle allegre musiche di Bregovic fino alla voce narrante di Shlomo che, ripreso in primo piano, ci illuminerà sulle rassicuranti sistemazioni ottenute dai suoi concittadini sparsi per il mondo, in primis Esther finita negli Stati Uniti felicemente sposata e con tanti bambini.
Sciaguratamente l’altro treno, quello reale, cambierà direzione imboccando un “sinistro binario" che raggiungerà una terra meno santa, avvolta dal freddo e dalla stessa nebbia che permeava le menti dei suoi abitanti. E la MDP continua a riprendere il primo piano di Shlomo ma…,mentre questi pronuncia la frase riportata in testa alla recensione…zooma a mezzo busto…solo due secondi ma sufficienti per annichilirci!
Per tutta una serie di considerazioni, dalla eccezionale bravura degli interpreti alle divine musiche di Goran Bregovic, dalla superlativa sceneggiatura alla coraggiosa quanto innovativa idea della regia, conferirei a questa pellicola di Mihaileanu il massimo punteggio di cinque stelle, posizionandola quindi un gradino più alto delle altre sue seppur ottime opere. Da non perdere assolutamente.
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