Regia di Zak Hilditch vedi scheda film
"I... I... I..."
• Zak Hilditch, regista australiano sempre sceneggiatore dei suoi film, e spesso anche produttore, la cui carriera ebbe inizio tre lustri orsono, prosegue nel rotolare allegramente con invidiabile noncuranza lungo la china discendente da esso stesso scientemente tracciata negli ultimi anni:
- 2003: “Waiting for Naval Base Lilly” [---]
- 2005: “the Actress” [---]
- 2007: “Plum Role” [---]
- 2010: “the Toll” [---]
- 2012: “Transmission” (cortometraggio): * * * ¼ (½)
- 2013: “These Final Hours”: * * * ½ (¾)
- 2017: “1922”: (* * ¾) * * *
- 2019: “RattleSnake”: * * ¾ (* * *)
• Vipere (non Colubri), ovvero: l'ancestrale rivisitato.
Von Stroheim
Wilder
Rosenberg
Hathaway
Peckinpah
Scorsese
Coen
Aronofsky
• Zak Hilditch con “RattleSnake” scrive e dirige un film compagno di strada di altri due recenti opere Netflix dirette da altrettanti cosiddetti “bravi artigiani”, ovvero “In the Tall Grass” di Vincenzo Natali (il paesaggio piatto, là verde, qui brullo) e “Fractured” di Brad Anderson (la location ospedaliera, là predominante, qui no), e soprattutto, forse, licenzia il lavoro che volente, nolente o casualmente meglio restituisce la formula, la chiave e l'atmosfera della narrativa kinghiana (la “comparsa” della roulotte, e poi la visita in steadycam al suo interno: lo stufato che gorgoglia sul fornello acceso del piano cottura a quattro fuochi e la radio a transistor che diventa un giradischi), mentre il soggetto ricalca un topos miliare quintessenzializzato dal “Butto, Button” di Richard Matheson.
La fotografia dell'esperto Roberto Schaefer (tutta la filmografia di Marc Forster - “EveryThing Put Together”, “Monster's Ball”, “Stranget than Fiction”, “Quantum of Solace”, etc..., più “the Host” di Andrew Niccol) inizia con una geometricamente classica ma usuratamente retorica visione a piombo dall'alto per mezzo drone/elicottero, prosegue con un paio di inquadrature veramente buone [i camera-car frontali, la scena dello sventato incidente stradale (tutta la gestione degli spazi e delle comparse) e la panoramica a schiaffo lento ad inquadrare la ragazza succube e seminuda sulla soglia salvata come beneficio collaterale dalle grinfie dell'orco], ma s'incarta un po' nei piccoli canyon del climax finale, ch'è anche la parte peggiore dal PdV della sceneggiatura e della sua trasposizione in immagini.
Montaggio di Merlin Eden (“Transmission”, “1922”) e musiche di Ian Hultquist (“Dickinson”).
One-woman show per Carmen Ejogo (“It Comes at Night”, “the Girlfriend Experience”, “Alien: Covenant”, “Roman J. Israel, Esq.”, “True Detective - 3”), anche prod.esec., che regge benissimo alla lunga distanza, e molto bravi anche i personaggi secondari Theo Rossi ed Emma Greenwell.
Ottimo il cosa dice e il come lo dice (“I... I... I...”), ma il percorso logico/tecnico e sintattico/grammaticale scelto per veicolare la morale racchiusa ed espressa da forma/stile e sostanza/contenuto lascia il tempo che trova: il morso velenoso scompare, e ciò che resta è un vago ricordo (avvelenato).
* * ¾ (***) - 5.75
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