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¡Que viva Mexico!

Regia di Sergej M. Ejzenstejn vedi scheda film

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La recensione su ¡Que viva Mexico!

di steno79
8 stelle

"Que viva Mexico" è il celebre film incompiuto del maestro sovietico Sergej M. Eisenstein, che non potè mai curarne personalmente il montaggio soprattutto a causa di disguidi con lo scrittore socialista Upton Sinclair che fungeva da produttore, cosicchè l'opera esiste in diverse versioni apocrife, fra cui "Lampi sul Messico" di Sol Lesser. La versione che più si avvicina alle intenzioni originarie del regista è quella uscita nel 1979 sotto la supervisione di Grigori Alexandrov, che fu aiuto-regista di Eisenstein durante le riprese in Messico, ed è quella di cui cercherò di tracciare una recensione, pur non essendo in questo caso possibile utilizzare i consueti strumenti dell'analisi critica di un film, data l'incompiutezza dell'opera.

Il film inizia con un Prologo in cui assistiamo ad una cerimonia funebre di una tribù di indios dello Yucatan, fortemente ancorati nelle tradizioni del popolo Maya. Le inquadrature ci presentano i resti delle grandi piramidi Maya a Chichen Itza, i templi con le sculture di pietra che rappresentano antichi dei. In mezzo ai resti del passato troviamo diversi indios con volti dalle espressioni solenni, a suggerire una continuità fra il passato e il presente. In particolare, un uomo avvolto in un “serape” con gli occhi chiusi e assorti in un’espressione che sembra una sorta di “trance”. La musica che ascoltiamo di sottofondo è musica elettronica ottenuta col sintetizzatore, che ha un effetto piuttosto ipnotico.

Il primo episodio vero e proprio è “Sandunga” (nome di una canzone folk che ascoltiamo come accompagnamento musicale), che si svolge a Tehuantepec, vicino al Guatemala. Il villaggio è situato in una foresta tropicale con palme rigogliose, scimmie, pappagalli e coccodrilli che nuotano nell’acqua. L’episodio racconta principalmente di una ragazza del villaggio chiamata Concepcion che desidera sposarsi; la tradizione del villaggio vuole che la ragazza debba avere come dote una collana d’oro, che Concepcion riesce ad ottenere con i risparmi del suo lavoro; le anziane del villaggio esaminano la collana, verificando se si tratta di oro vero. Infine giunge il giorno delle nozze con Abundio, un uomo sereno e sorridente, che due anni dopo la renderà madre all’interno di una società patriarcale armoniosa e priva di conflitti. L’episodio utilizza tonalità dolci e soffuse, senza alcuna implicazione politica, tanto che risulta piuttosto atipico per Eisenstein, e una delle sue opere più sensuali, una sorta di sogno ad occhi aperti che sostituisce l’aspro realismo rivoluzionario dei film precedenti. Nella versione di Alexandrov, l’episodio appare un tantino troppo idealizzato, a tratti tendente quasi alla cartolina turistica pur con composizioni visive di ampio respiro, e con una musica spagnoleggiante un po’ troppo sciropposa.

L’episodio seguente è “Fiesta”, che si apre con scene dei festeggiamenti per la Vergine di Guadalupe, con molti fedeli abbigliati con costumi piuttosto eccentrici che ricordano quelli dei Cavalieri Spagnoli del Medio-evo; oltre alla festa della Vergine assistiamo ad altre cerimonie religiose come la cerimonia Pasquale della Via Crucis, con tre uomini che rappresentano Cristo e i ladroni caricati di pesanti croci spinate sulle spalle, che salgono centinaia di gradini insieme ad una gremita folla di pellegrini in ginocchio fino a raggiungere un monastero che si trova sul sito di un antico tempio dei Maya. L’episodio si conclude con una lunga sequenza di corrida in cui si esibisce il torero locale David Liceaga, sequenza che stando ad alcune fonti sarebbe stata ripresa dal vero. La parte della corrida, che include gli elaborati preparativi a cui si deve sottoporre il torero, è probabilmente la meno interessante, mentre le immagini più memorabili si ritrovano nelle sequenze della processione con l’elemento figurativo del triangolo (evidente nell’immagine dei tre uomini crocifissi) che rimanda al simbolismo religioso della Trinità, oppure in altre scene che riguardano il clero, ad esempio in una famosa immagine disposta su tre piani in cui in primo piano abbiamo tre teschi, dietro i teschi abbiamo quattro monaci dall’aria solenne e dietro i monaci quattro bambini abbigliati con abito talare che reggono una croce (l’effetto prospettico è sapientemente utilizzato). Personalmente non arriverei a parlare di anti-clericalismo, anche se il contrasto fra la giocosità dei festeggiamenti della povera gente e l’eccessiva austerità dei monaci è evidente.

Il terzo episodio è “Maguey”, probabilmente il più famoso perché fu quello che venne maggiormente utilizzato in “Lampi sul Messico” di Sol Lesser (che non ho visto). Questo può essere definito un episodio a soggetto rispetto al Prologo e a Fiesta, che sono essenzialmente documentari. L’episodio si svolge all’epoca del dittatore Porfirio Diaz, prima della rivoluzione, in una struttura sociale di stampo feudale. Un signorotto proprietario di una hacienda sfrutta crudelmente i peones adibiti alla produzione del “pulque”, una bevanda alcolica. Uno dei peones, Sebastian, si reca dal proprietario della hacienda per avere il suo consenso per sposare la sua fidanzata Maria; durante la visita Maria viene approcciata da un ospite ubriaco che la conduce a forza in una camera, presumibilmente violentandola; quando Sebastian si ribella sfidando l’ubriacone, viene cacciato a forza dalla hacienda e Maria viene fatta prigioniera. Sebastian tenterà in seguito di liberarla assieme ad alcuni amici peones, ma la loro azione fallirà, anche se durante la sparatoria resterà uccisa la figlia del proprietario terriero. I ribelli verranno allora catturati e puniti con una morte terribile: sepolti vivi fino alle spalle, verranno travolti e schiacciati dai cavalli condotti dagli sgherri del signorotto, e la povera Maria si recherà in lacrime sul corpo del suo fidanzato, ormai morto. Probabilmente è l’episodio più significativo dell’intera pellicola: c’è un indubbio rigore nella costruzione visiva con un netto contrasto fra le scene ambientate negli spazi desertici ed illimitati e quelle ambientate nella hacienda, dove la spazialità diviene ristretta ed opprimente (un contrasto visivo che amplifica quello morale fra i contadini con i loro valori di rinnovamento e i loro corrotti padroni). Nella scena dell’esecuzione abbiamo di nuovo il motivo del triangolo con l’immagine dei tre peones stagliati contro il cielo, con le mani legate, immagine che riprende chiaramente quella analoga dell’episodio “Fiesta”; i volti dei tre uomini esprimono paura, rassegnazione, ma anche un senso di sfida contro l’ingiustizia, una rivolta che diviene chiaramente il trait d’union con le altre opere del regista di esplicita propaganda rivoluzionaria come “La corazzata Potemkin” od “Ottobre”. La tragica conclusione dell’episodio è una scena di grande cinema all’insegna di una contemplazione che si sposa perfettamente con l’estetica del cinema muto (nel film non ci sono scene dialogate né didascalie, solo una voce fuori-campo, che è stato un espediente un po’ forzato ma inevitabile da parte di Alexandrov).

In seguito c’è un intervento dello stesso Alexandov in sala di montaggio, che spiega che avrebbe dovuto esserci un altro episodio dal titolo “Soldadera” che avrebbe parlato delle donne dei combattenti rivoluzionari durante i moti del 1910. L’episodio non fu girato per mancanza di fondi e per dissidi con i produttori, rappresentati dallo scrittore Sinclair.

Infine c’è un Epilogo ambientato nel Giorno dei Morti, il 2 Novembre, che in Messico viene vissuto come una sorta di bizzarro Carnevale, con la gente che indossa maschere a forma di teschio, mangia dolcetti a forma di teschio, balla e ride con finti scheletri. Il ritmo di questa sezione è sostenuto e le immagini scorrono con estrema fluidità: la voce del narratore dice che “Questo non è il culto della morte, ma il trionfo dell’Uomo sulla morte attraverso la sua presa in giro”. A un certo punto, molte persone si tolgono le maschere da teschio e vediamo molti volti sorridenti, soprattutto di bambini. Poi c’è una figura che si toglie la maschera, e sotto vediamo un vero scheletro: gli scheletri sono abbigliati con uniformi militari e con gli abiti tipici dei ricchi capitalisti. “Ecco i cadaveri di una classe scomparsa”. Eisenstein ci mostra infine un ragazzino sorridente che simbolizza il Messico del futuro, e suggerisce che la vera incarnazione del Messico è nella gente comune, non nei relitti di una classe oppressiva ormai cancellata dalla storia.
voto 8/10

 

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