Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Per una volta possiamo cominciare dalla fine: “I dolori erano spariti, le persone che amavo più di tutte al mondo erano lì: potevo udirle chiacchierare intorno a me. Sentivo la presenza dei loro corpi, il calore delle loro mani. Volevo aggrapparmi a quel momento e pensai: qualunque cosa accada, questa è la felicità. Non posso desiderare niente di più”. Il resto è l’agonia di una malata terminale, assistita da due sorelle distratte dai loro problemi e da una domestica amorevole che ha perso la sua bambina. La vita di prima riemerge in flashback angoscianti: senso di esclusione, matrimoni senza amore, relazioni superficiali, vuoto affettivo, gesti di freddo autolesionismo; miserie umane che sfilano su un abbagliante sfondo rosso (tappezzerie, vino, sangue), riscattate solo dalla fede pura e semplice della domestica e dal ricordo di una giornata felice (forse l’ultima) fissato sulla pagina di un diario e così reso incancellabile. Un film di terribile bellezza, crudo, pieno di sofferenza, ma suggellato da un finale luminoso. Distribuito negli USA da Roger Corman, ha rilanciato la carriera di Bergman e ha impressionato fortemente il giovane Woody Allen: Interiors, Hannah e le sue sorelle e Un’altra donna nascono da qui.
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