Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
I titoli di testa, bianchi su sfondo rosso, sono anticipatori di due dei quattro (gli altri sono il grigio ed il nero) colori predominanti di 'Sussurri e grida': dopo alcune inquadrature fisse in esterni, Bergman ci conduce dentro la villa - altro ambiente circoscritto, dove tutta la storia si dipanerà, dato che le uniche scene in esterni saranno dei flashback - di Agnes (Harriet Andersson), gravemente ammalata e per questo vegliata dalle sorelle Maria (Liv Ullmann), Karin (Ingrid Thulin) e dalla devota governante Anna (Kari Silwan), fervente credente segnata dalla perdita e dal conseguente vuoto provocati dalla morte della piccola figlia, avvenuta anni prima. Gli orologi segnano il lento scorrere del tempo, che vede l'inesorabile declino fisico di Agnes - le prime parole di dialogo che si ascoltano le pronuncia lei, dopo essersi svegliata e aver girovagato per la stanza, vergandole su un diario: ''E' lunedì mattina presto e sto soffrendo'' - e al capezzale della donna si alternano, con i loro differenti approcci, le due congiunte nonché Anna, fino all'irreparabile fine, tra pochi momenti di sollievo alternati purtroppo a tanti altri, in cui la malattia non dà tregua alla sventurata inferma, suscitando varie reazioni nel piccolo nucleo familiare che la circonda.
'Sussurri e grida' è, ad una prima lettura, un film molto semplice e piuttosto lineare ma, dopo molteplici visioni, appare lampante tutta la complessità della sua costruzione, ben calibrata e dosata dal cineasta svedese, dove il racconto si sviluppa attraverso l'uso ripetuto di elementi linguistici a lui abituali, come l'uso del flashback - quattro nel corso della narrazione - che ben si incastonano nella parte narrata al presente, utilizzati per far conoscere meglio sia le caratteristiche delle personalità delle quattro protagoniste sia alcuni fatti del loro passato che influiscono sulla storia.
'Sussurri e grida' è l'ennesimo e tra i più lucidi studi bergmaniani della figura femminile, presentata attraverso il carattere di quattro donne: Agnes rappresenta la sofferenza, l'accettazione rassegnata, 'religiosa', della stessa - nell'epitaffio il prete (Anders Ek) parla di lei in termini molto positivi nel suo rapporto con la religione, al contrario di lui, una continuazione del prete di 'Luci d'inverno' - nonché la bonta d'animo - nel flashback a lei dedicato parla con rammarico del suo difficoltoso legame con la madre (sempre Liv Ullmann), da lei amata tantissimo nonostante sembrava che la donna avesse un occhio di riguardo per la sorella Maria - e la gentilezza (si rivolge sempre alle sorelle o alla badante ringraziandole e non facendo mai pesare la sua condizione d'inferma); Maria l'indifferenza, la superficialità, l'egocentrismo, la frivolezza, come dimostrato tanto nel suo inserto relativo al passato, tutta presa ad amoreggiare con il medico di Agnes (Erland Josephson), indifferente al marito (Henning Moritzen), l'imbelle Joakim che, capìta la tresca, tenta il suicidio ma non ha abbastanza coraggio per farcela, e vedendolo sanguinante, non lo soccorre, quanto al presente del narrato, quando al capezzale della sorella, nell'eloquente prima sequenza, dorme beatamente oppure più tardi, quando aspetta che sia un'altra ad alleviarne le sofferenze; Karin è la durezza d'animo, che arriva fino all'odio, l'incostanza - in una scena con la governante la tratta molto male, la schiaffeggia, subito dopo le chiede scusa per poi liquidarla con sdegno - e una vera e propria incapacità d'amare - con il marito Fredrik (Georg Arlin), del resto anch'egli insopportabile ed altezzoso, non ha più alcun legame né umano né sessuale, fino ad arrivare, in una discussa scena al limite del sadomaso, ad autoprovocarsi piacere con un pezzo di vetro rotto - che fa si che ogni suo interfacciarsi con il prossimo ha una mera valenza burocratica, come poco dopo la morte di Agnes, occupandosi della successiva vendita della villa, di liquidare la governante, mettendo - tranne appena dopo la morte della sorella, dove dà una mano a Maria ed Anna nella svestizione e preparazione della stessa - in secondo piano tutto il resto; infine Anna, che simbolicamente, in gran parte delle inquadrature con le altre protagoniste, è in disparte o dietro a loro o in un angolo, rappresenta la devozione, l'amore materno ed incondizionato nei confronti del prossimo, che sia la figlia prima, o Agnes poi.
'Sussurri e grida' è anche uno dei film che più si è avvicinato a dare un'idea concreta e tangibile della sofferenza, della malattia e della morte, mostrando tali elementi in tutta la loro brutalità e violenza, con scene di un'intensità e di una virulenza ai confini del sostenibile e non certo facili da metabolizzare, riuscendo comunque ad evitare le trappole di una facile retorica e quella componente ricattatoria, che spesso generano tali situazioni, ricorrendo ad una densità di immagini dalla consistenza pittorica (si pensi alla scena, citata sopra, che segue la morte della donna, con lei spogliata, sistemata e vestita con amorevole cura, dotate di una plasticità tipica di certi dipinti e ancor più alla celebre scena, che rimanda alla 'Pietà', del sogno con Agnes tra le braccia di Anna), valorizzate dalla superlativa fotografia a colori di Sven Nykvist, che per il suo lavoro ha ottenuto il primo dei suoi due Oscar (mentre film, regia, sceneggiatura e costumi si sono fermati alla nomination).
Tutti questi fattori, in combinazione con dei dialoghi scarni, precisi e taglienti, la perfetta scansione temporale tra parti al presente, ricordi, sogni o incubi, il ritmo volutamente compassato, l'uso parsimonioso delle musiche, l'eccezionale resa corale degli interpreti - con la prevalenza dei ruoli femminili su quelli maschili - fanno di 'Sussurri e grida' un'autentica opera d'arte.
Voto: 10.
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