Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
«È lunedì mattina presto, e sto soffrendo. Le mie sorelle ed Anna mi assistono a turno...»: queste parole vergate sul diario di Agnese (Harriet Andersson) con un inchiostro appena accennato, introducono con pressante densità la trafelata opera di Ingmar Bergman. Un lungometraggio dalla graffiante spiritualità e di pittorica espressività che fa uso della fotografia di Sven Nykvist come propellente di emozioni e conflitti di lacerante tormento psicologico delle sue protagoniste, servendosi in particolare delle acuminate dissolvenze in funzione di un registro cinematografico avvenente, il quale rispecchia inconfondibilmente lo stato d'animo di straziante sofferenza dell'agonizzante Agnese, l'angoscia delle due parenti, inermi di fronte all'inevitabile situazione, e la figura simbolica della governante, ancora sconvolta per la scomparsa della figlia e l'unica bendisposta a prestarsi ad un contatto fisico nei confronti della moribonda. Il rosso è ovunque, dai panneggi, alle pareti e ai tappeti fino al colore che ricopre il fotogramma. Bergman usa il mezzo dalla settima arte per esorcizzare i suoi demoni, cimentarsi con le domande che gli tormentano la mente. In sostanza, analizzando attentamente la pellicola, “Sussurri e Grida” è una terapia. Fortunatamente, i problemi che turbano il regista qui trovano un ampio respiro; i sottotesti verranno percepiti da chiunque abbia la pazienza di sedersi e contemplare le lancinanti vicende. La tecnica di Bergman è incredibilmente efficace; i risvolti della storia scorrono fluidamente, e nonostante l'orrore da sopportare, c'è tanta sensibilità e una sensazione di intimità in ogni scena… Il processo della morte è spesso lo stato più traumatico da affrontare in questa vita. Per la maggior parte delle persone, il trapasso richiede tempo, è graduale. In definitiva, non importa quanti amici e cari siano dalla nostra parte, quel passo deve essere intrapreso da soli. Bergman suggerisce che il mondo può essere un posto terribile e l'esistenza umana è piena di dolore e crudeltà, ma rammenta anche che se estendiamo i nostri sentimenti gli uni verso gli altri, ci saranno momenti che ci porteranno felicità e grazia, come dice Agnese nel suo bellissimo e ossessivo soliloquio. La narrazione comunque non viene esposta in maniera lineare. Attraverso l'uso di flashback e sequenze oniriche il tempo si confonde. E mentre il plot si concentra su Agnese, le incursioni nel passato riguardano Anna (Kari Sylwan), Karin (Ingrid Thulin) e Maria (la bravissima attrice Liv Ullmann), dandoci una visione più vasta e mostrando il motivo delle loro reazioni dinanzi ad Agnese. Sensi di colpa, atteggiamenti deliranti, rimorsi e visioni allucinate scrutano e sviscerano l'introspezione delle quattro consanguinee attraverso una una recitazione assolutamente impeccabile. Basta un lieve stiramento delle labbra o delle rughe di Karin e Maria per garantire agli spettatori un'esperienza emotiva appagante. Gli occhi dei personaggi si focalizzano sull’obiettivo della cinepresa e i relativi visi riempiono l'intero schermo. Quasi vorresti che guardassero altrove per spezzare la tensione, come nell’apertura in cui Agnese ansima disperatamente per tre minuti. Bergman invade completamente ogni angolo dello spazio con immagini che disturbano e perseguitano gli astanti in modo romantico e tortuoso. Lascia comunque un po' di ribrezzo l'autoerotismo "punitivo" da parte della fredda e cinica Karin, ostile nel riconoscere l'affetto della convivente Maria, avida nel trasmetterlo ed afflitta dall'odio verso il marito; alto borghese e distaccato. "Sussurri e grida" è un dramma di forza dirompente e di virulento fervore, come tutti i lavori del suo autore.
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