Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Ingmar Bergman gira il suo "gruppo di famiglia in un interno": in Sussurri e grida tutto è concreto e astratto insieme, tutto è ossimorico, urlo di sofferenza e fievole bisbiglio come il venticello della calunnia.
Il rigore della costruzione scenografica, coreografica e soprattutto ritmica della pellicola è il mezzo per penetrare nelle anime, i primissimi piani e gli specchi violentano i volti come il vetro infranto che masturba ignobilmente la disperazione ottusa e amara di Karin (molto prima de La pianista di Michael Haneke); l'impassibilità morbosa e aspramente distante della mdp si sofferma sulla sofferenza di Agnes (pochi anni prima di Cria cuervos di Carlos Saura); la focosità del colore scandisce il calvario, lacerato dai bianchi abbaglianti; il tempo è scandito dai ticchettii dei frammenti d'immagine degli orologi, ingigantiti sullo schermo, opprimenti. Ma il tempo è ancora dominato, oppresso e alleviato insieme, dalla musica spirituale di Johann Sebastian Bach (in una sequenza geniale, dove le labbra non riescono a pronunciare suoni e solo le note del violoncello riescono a parlare e a dare significato), nonché dalla malinconia chopiniana.
I rapporti sociali e familiari si scontrano, si analizzano superficialmente, il contatto carnale dovrebbe essere la possibilità di riscatto, il tramite per avvicinare anche le anime distanti delle sorelle. La malattia è ciò che più concretamente è riuscita a smuovere la vita di Agnes stessa, e l'esperienza della morte (della figlia e di Agnes) ha maturato la umile Anna, figura materna per eccellenza fino all'identificazione con Maria, madre di Cristo, traslata in un corpo di debordante carnalità, pietà e mesta, rassegnata ma fedele umiltà.
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