Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Sussurri e grida è un film sull’incapacità di individuare le ragioni del dolore. Ogni personaggio che abita gli inquieti fondali del film vive il proprio dolore alternando momenti di silenzio dubbioso ad altri in cui la rabbia interiore esplode in un grido famelico. Soffre Agnes di un dolore naturale che si rivelerà disperato (dal momento che vuole coinvolgere le persone più care nel suo percorso verso la morte). Soffre Maria, la sorella, per i postumi di un amore impossibile e per l’ipocrisia che la circonda. Soffre Karin, l’altra sorella, a causa dell’insopportabile vacuità del suo vivere. Soffre Anna, la governante, l’unica che veramente si cura della povera Agnes. Dunque è una storia di donne. Gli uomini sono relegati a funzioni per veicolare i propri sentimenti (perlopiù tristi e scoraggiati), sono mariti assenti ed amanti esitanti. Ed è per questo che le donne soppiantano con decisa ed insospettabile violenza gli uomini: hanno una loro dimensione di esistere ben più importante e capziosa dei loro contraltari maschili. Il film appartiene a loro, al loro mondo pieno (come dice il titolo) di sussurri e grida, silenzi ed urla, muti pianti ed accennati sorrisi. A dar vita ai quattro personaggi principali ci sono quattro attrice di magica sensibilità (la magistrale Liv Ullmann, la stroardinaria Harriet Anderson, la sublime Ingrid Thulin, la sofferta Kari Sywlan), dirette con soave nervosismo dall’incantato regista. Bergman esprime tutto il suo interesse verso il mondo femminile ergendo le sue abitanti a simboli dell’incomunicabilità e dell’enigmaticità, personaggi che si misurano quotidianamente con l’orrore.
L’orrore è l’altro tema capitale del racconto: non c’è più via di scampo, tutti siamo destinati a vivere una circostanza in cui l’orrore ha il sopravvento. E l’orrore (ma più che orrore forse è terrore, paura dovuta all’impossibilità di capire un mondo) ha anche il suo colore dominante: è il rosso, che regna prepotentemente da sovrano incontrastato nell’ovattato e sgomento ambiente di Sussurri e grida. Con una catena di simbolismi ed elementi riconducibili al colore del fuoco (il sangue di una masturbazione violentissima, il vino rosso caduto sulla tovaglia, le mura delle stanze, il copriletto), Bergman cerca di gestire la paura esorcizzandola con altre tonalità (il nero dei vestiti a lutto in primis), ma raramente riesce ad avere la meglio. Solo nel finale, malinconicamente straniante, le tinte chiare e nitide dei paesaggi primaverili sembrano occupare intensamente la scena (c’è la possibilità del compimento di una felicità collettiva, ma appare un po’ lontano). Grande merito alla fotografia raffinatissima di Sven Nykvist, che illumina la scena con raro espressionismo ed offre il suo valido supporto a Bergman nella rappresentazione dell’ambiente domiciliare con gusto sottilmente macabro (come dimenticare quegli orologi che sembrano fermare un tempo interminabile?).
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