Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Luci, dialoghi, inquadrature, pause, colori: tutto estremamente intenso. La traslazione dal patetico al patinato è puramente merito del genio bergmaniano; il rischio di annoiare a morte lo spettatore è comunque altrettanto forte. E' un film da dissezionare con massima cura, molto complesso nella sua pur breve trama, da rivedere attentamente; in attesa di cogliere ogni sfumatura e di approfondire ogni riflessione, lo sbadiglio è però sempre in agguato. Maniacale per quanto riguarda luci e colori (il rosso intenso del dolore, il bianco della purezza, il nero del lutto a dominare costantemente la scena), Bergman dipinge - realmente, il film è molto più simile ad un quadro che ad un lavoro su pellicola, e infatti il movimento in scena è ben poco - un dramma famigliare che si consuma nel più atroce silenzio. Ed è quello degli uomini, incapaci di ascoltarsi e comprendersi reciprocamente, come quello di un dio sordo che implacabile maneggia i fili delle nostre vite e si rifiuta di rispondere a qualsiasi implorante richiamo delle sue creature. Intensità da brivido, ma lentezza e silenzio eccessivi.
Stoccolma, inizio Novecento. Agnese, quarantenne, sta morendo di cancro; al suo capezzale accorrono le due sorelle, ed è la dolorosa riscoperta di rapporti difficili e mai davvero risolti.
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