Regia di Douglas Sirk vedi scheda film
Ci sono due diverse prigioni,due celle ugualmente spaventose in cui si possono rintracciare le fioriture e le conseguenze delle passioni che si accendono e si estinguono se non si concludono prima con la morte,e Douglas Sirk ha praticato entrambi gli ambienti.
Da un lato la malata consuetudine all’ipocrisia imposta dalle pareti domestiche,dalla ferocia dei rituali borghesi,dall’altro il vasto,infinito scenario di solitudine offerto dalle brutalità della guerra,dal gelo dei paesaggi russi come da quello umano che si impadronisce di chi assiste alla distruzione del luogo dell’infanzia,della prima giovinezza e dei primi amori.
Questa violenza non è,e non può essere,il nerbo delle opere di Sirk,non perché non sia possibile,ma perché il profondo attaccamento al senso dello spettacolo,pur toccando temi scomodi come il conflitto mondiale,gli fa prediligere la scelta nei confronti dello sperimentato romanzo-fiume cinematografico,del ricamo sentimentale che inquadra,tra le voci di chi è afflitto dalle perdite che la guerra impone,la cronaca di questi poveri amanti che si accettano,si desiderano raccontandosi a vicenda quanto questa sia la loro volontà per regalarsi un’intima convinzione che la vita continuerà.
Sirk fa un discorso colto nascondendolo sotto la traccia di un cinema estremamente popolare,che non esemplifica le vicende umane se non con le ragioni di due giovani,e di spettatori e complici meno giovani,secondo il modulo hollywoodiano che,anche se la cosa ad alcuni potrà risultare inopportuna,attraverso la sapienza scenografica,l’immancabile vellutata fotografia conferisce alla paura,alla distruzione e al grigiore del paesaggio la prepotenza estetica,appunto, dello spettacolo.
Non c’è un elemento che non sia prevedibile,risaputo anche,sperimentato sempre secondo i codici imposti dal turgore del melò,il genere estinto per l’incofessabile vergogna contemporanea di lasciarsi coinvolgere dal piacere dell’illusione e dalla tentazione pacificatoria del romanticismo.
In questo perfetto meccanismo l’unico vero difetto,laddove avrebbe dovuto il punto di forza,è la scriteriata scelta del suo protagonista,uno degli uomini più attraenti e degli attori più anonimi che Hollywood abbia conosciuto,presente in ogni scena con la padronanza di sé che avrebbe una comparsa.
Se si eccettua la bella sorpresa presentata dalla grazia di Liselotte Pulver,è la maschera indurita e scoraggiata di Remarque la più interessante novità di un cast non perfettamente credibile nelle vesti di cittadine tedeschi.
Questo è comunque il “cinema di una volta”,senza esitazioni nella semplificazione dei motivi che giustifichino la messinscena, e che poteva chiamarci da parte per brindare,come succede in una tenera scena prima che le sirene spezzino un attimo di pace,secondo le parole di Ernest:”A ciò che ci manca nella vita”.
Piccola figura commovente di soldatino che ritiene di aver già messo troppo alla prova un cuore fragile,impreparato a sostenere che la guerra è:una faccenda che non riguarda sempre che non chiede di essere eroe
Semplicemente Lilo nei titoli di testa,chiamata per un ruolo assai convenzionale,ha la vitalità che prepara al comune destino femminile,l'eleganza intrepida e infastidita di un forte carattere di donna che sa che non ci saranno medaglie per il proprio coraggio
In un ruolo forse adatto per un attore come Montgomery Clift,inoffensivo nella sua ricerca di qualche sfumatura che non possiede,questo atletico esemplare di virilità,chiaramente consapevole della sua prestanza e tutt'altro che antipatico, sembra che abbia impomatato non solo i capelli ma anche gli occhi e la bocca.
Risoluto curatore dei caratteri forti e deboli che vivono per confrontarsi con i proprio travagli,ha sempre effettuato minimi spostamenti nel suo cinema arioso,dalle immagini lucide come viste attraverso il filtro faticoso delle lacrime
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