Regia di Frank Capra vedi scheda film
Prima di tutto, applausi al titolo (che nella traduzione italiana mantiene il suo senso) che riesce ad unire la sua vocazione di commedia più sui sentimenti che sentimentale alle ambizioni socio-politico di una acida e raffinatissima satira sui costumi del bipolarismo americano. Tra i pochi film ad annoverare un protagonista (buono) nelle file dei repubblicani (nonostante il finale, che ovviamente non vi svelo anche se prevedibile), è un esempio perfetto delle intenzioni che muovono il cinema di Frank Capra, per quanto non si possa annoverare, forse, tra i quattro o cinque film migliori. In ogni caso, è un’opera che raramente perde quota nonostante alcuni difetti se vogliamo veniali (qualche verbosità di troppo nella prima parte esplicativa, un certo qualunquismo di fondo fuso ad un buonismo didascalico ed utopista non esattamente realizzabile): sarà il fascino del tempo perduto ed irripetibile, sarà la tematica sempre interessante e di rado frequentata come si deve, chissà, ma proprio non si riesce a parlar male di un film adorabile e discutibile come questo di cui si condivide in realtà abbastanza poco.
Capra dà il meglio di sé nella caratterizzazione dei personaggi secondari, in primis la gaudente ed alcolizzata moglie del giudice di Maidel Turner, senza dimenticare la grande e cinica Angela Lansbury in un ruolo sinistramente simile a quello che anni dopo avrebbe incarnato in Va’ e uccidi e Margaret Hamilton, già indimenticata Malvagia Strega dell’Ovest. Il bravo Adolphe Menjou, qui nei panni di un navigato repubblicano maneggione, offriva contemporaneamente i suoi servizi alla commissione McCarthy. Senza girarci ancora troppo intorno, il film vive delle interpretazioni di Spencer Tracy e Katherine Hepburn, addirittura magici quando lo schermo è occupato dalle loro amabili presenze. E poi si guardano con tutto l’amore del mondo, e io non riesco a non amarli.
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