Regia di Todd Solondz vedi scheda film
Un film che inseguivo da almeno due anni e che, finalmente, riesco a vedere ed ammirare in tutta la sua carica corrosiva. Difficile chiedere di più ad un regista alle prese con un copione così spudorato nell'affrontare tematiche perverse, anche criminali e ben oltre l'abiezione. In questa radiografia della middle-class statunitense di fine anni 90, quando ancora non c'era internet ed il massimo dell'alienazione per i kids erano videogiochi e Tamagochi (!), mentre gli “adulti” frustrati, non potendo contare su web-cam e chat erotiche, per eccitarsi dovevano ricorrere a riviste soft-core e telefonate anonime, Solondz passa in rassegna una serie di casi patologici, persone disfunzionali, vittime/complici di una società malata di individualismo, che nega a priori la felicità, la stabilità emotiva, la soddisfazione sessuale, l’autenticità delle relazioni. Ma la bravura del regista, un merito che pochissimi altri autori hanno (avuto) al cospetto di sceneggiature, come questa, ai limiti dell’attendibilità, risiede nella capacità di infondere credibilità, profondità, sincerità e spessore a queste figure “bigger than life”. Costeggiando il grottesco ed il paradossale, stando attento a non sbracare, concedendo agli interpreti (tutti straordinari, con menzione particolare, ovviamente, al fuoriclasse P.S. Hoffmann, uno dei maggiori attori USA dell’ultimo ventennio) di inscenare la loro patetica, tragicomica, surreale, dolorosa, serissima pantomima quotidiana, con lo sguardo inerte ma compassionevole di chi si affeziona ai suoi personaggi pur inchiodandoli alle loro colpe, Solondz realizza un’opera che davvero rappresenta quanto di meglio si possa chiedere al cinema “indie” d’oltreoceano, tenendosi lontano da certe derive Sundance, articolando in modo creativo ma misurato il minimalismo di fondo, distanziandosi inoltre dai due principali referenti: Altman e Cassavetes. L’amara coralità del primo e l’opprimente iperrealismo del secondo vengono rimpiazzati da un umanesimo estremo, senza vergogna, dove il sentimentalismo più “americano” si accoppia al ridicolo, dove la volgarità di eiaculazioni moleste è mostrata in tutto il suo volto drammatico, dove il naturalismo è portato al punto di svelare l’assurdo che regola le vite e le morali delle persone e del loro contesto sociale, un po’ come seppe fare Stroheim in Greed, pietra miliare del socio-realismo cinematografico statunitense. Se devo fare un appunto a questo bellissimo film, noterei che solo un personaggio, quello della affascinante scrittrice Hellen, è al limite della caricatura: solo con lei, il film rischia di cadere nella farsa, ed è significativo che sia proprio lei, il personaggio più forzato ed improbabile, a dover prendere in mano le redini di una famiglia a pezzi, nello sconcertante epilogo. Tra poco, vedrò il sequel, “Perdona e dimentica”…speriamo in bene! :-)
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