Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Il padrino di Rosi meno spettacolare dell'originale ma più pesante dal punto di vista storico-politico diventa il punto di partenza per descrivere una realtà sempre meno lineare. La figura del boss dei boss di New York diventa il punto centrale di una situazione sempre più complessa dove le distinzioni manichee tanto care agli americani non possono più bastare. Quando mafia e politica si incontrano tutto si mischia si confonde e il grigio diventa il colore dominante. La mafia insegue il potere, il suo concetto di pace e ordine si basa sulla eliminazione gangeristica delle famiglie rivali. La politica diventa un totale gioco delle parti dove ognuno controlla qualcuno, dove non si cerca più nemmeno di cambiare tutto per aspettare che le cose vadano a posto da sole. La storia di Lucky Luciano diventa emblematica nel definire la capacità della mafia di sfruttare povertà e proibizionismi per arricchirsi, mostrando una faccia sempre più pulita e potendo controllare il movimento delle cose stando fermi. Rosi fà i nomi ma lascia parlare le azioni, limita al massimo gli inserti diretti e rinunciando agli aspetti simbolici universali decide di giocare con la narrazione pura senza dimenticarsi della denuncia sociale. Il regista più (in)civile del nostro cinema va a sfruculiare una delle figure chiave per definire il mafioso moderno che nella interpretazione di Volontè appare quasi infastidito da tale potere ma che sa che la sua fortuna sta nell'avere le mani sempre pulite come appena lavate mai sporche di sangue. Egli deve solo dare ordini per far uccidere chi sbaglia e per far muovere droga e denaro. Come ogni intoccabile-indesiderabile sarà temuto rispettato e informato mentre tutto intorno a lui, non solo per colpa sua, sarà sempre più torbido e inquinato.
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