Tra i film visti il l’ultimo giorno prima del Lockdown e poi da recuperare nella riapertura voglio segnalare l’opera prima più rischiosa del Cinema Italiana che si è aggiudicato il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Venezia Sezione Orizzonti. Più rischiosa perché il regista aveva sulla sua testa a pendere ben tre Spade di Damocle. Quella di essere il figlio di Sergio Castellitto, Quella di essere il figlio di Margaret Mazzantini e quella di essere un esordiente di 29 anni. Lui stupisce tutti scrivendo una storia surreale che ha poco a che vedere con tutti i riferimenti legati ai pregiudizi su di lui. Una storia di famiglie alla deriva, di valori che fluttuano nell’aria, di padri vanitosi al limite dell’infantilismo e di figli che vagano alla ricerca di punti di riferimento. Punti di riferimento che trovano sfogo in un silenzioso ma al tempo stesso fragoroso gesto folle ma soprattutto violento e provocatorio. Strizzando l’occhio a Lanthimos, Pietro Castellitto ci racconta due modi e due mondi che caratterizzano Roma. Quella borghese che lui conosce molto bene composta da un padre luminare e traditore, una madre regista e nevrotica e un figlio disilluso, depresso e precario. La Famiglia si chiama Pavone quasi ad evidenziare il narcisismo estremo che li caratterizza e che hanno in un sublime Massimo Popolizio un capo famiglia rappresentativo. Quella proletaria che vive ai bordi di periferia, che vive di impicci sempre al limite della legalità. Profondamente coatta e fascista , un fascismo ostentato al limite dell’esibizionismo con canti e simboli esposti in ogni luogo. La famiglia si chiama Vismara e che ha in un sublime Giorgio Montanini un capo famiglia rappresentativo. Nonostante siano due mondi in apparenza destinati a non incontrarsi le due famiglie nel corso del film intrecceranno le loro insoddisfazioni e la loro infelicità per colpa di un truffatore con la faccia da schiaffi come Vinicio Marchioni. I Predatori più che il Castellitto Regista o l’attore ne evidenzia il suo lato più autorale. Il premio assegnato non è un caso perché il film è soprattutto un film ben scritto, che tiene ben premuto il pedale del grottesco, della Satira sociale e del sarcasmo. Ogni personaggio è ottimamente descritto nella sua mediocrità e Pietro Castellitto regala loro momenti che ne esaltano la grande forza della loro debolezza come la scena della piscina o del colloquio in carcere. Adulti incastrati nei loro fallimenti e giovani che cantano il loro disprezzo in un rap senza senso. I Predatori è un’opera prima volutamente sfidante e ambiziosa. Imperfetta e un po’ presuntuosa come il suo autore e come il piccolo personaggio che decide di interpretare. Due metri dietro a osservare, a giudicare e anche a sentenziare dietro un’aria spocchiosamente nichilista. Però I predatori si fa guardare molto bene, diverte lo spettatore, ci lasciamo trasportare dal cinismo della storia e viene voglia di rimediare agli errori che commettiamo tutti i giorni. Perché i Predatori sono loro ma sotto sotto se ne nasconde uno in ognuno di noi. Voto 7
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