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Non odiare

Regia di Mauro Mancini vedi scheda film

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La recensione su Non odiare

di alan smithee
4 stelle

VENEZIA 77 - SETTIMANA DELLA CRITICA
In una città del nord Italia, un affermato chirurgo di origine ebrea, tipo solitario, reso ancor più isolato dalla recente dipartita del padre, si trova a soccorrere, mentre si esercita facendo canottaggio sulle rive del fiume, un automobilista vittima di un pirata della strada, che lo conduce in fin di vita e si dilegua. Dopo aver chiamato i soccorsi, l'uomo si prodiga a cercare di fermare l'emorragia, ma, notando sul corpo della vittima un tatuaggio di inequivocabile matrice antisemita, il dottore ha un blocco che lo costringe ad arrestarsi, provocando cosi la morte per dissanguamento dell'incidentato.
Colto presto da forti sensi di colpa, l'uomo si mette sulle tracce dei parenti della vittima, ed incontra così la figlia del defunto, alla quale offre un posto da donna di servizio, mentre si scontra bruscamente col fratello di lei, pure lui come il padre estremista violento di destra e convinto antisemita.

Metre tra il dottore e la ragazza si stabilisce un sentimento d'affetto da una parte, e di sincera riconoscenza dall'altra, Il rapporto contrastato tra uomo e ragazzo condurrà ad un forzato ravvicinamento degli stessi, a causa del precipitare degli eventi. Ma la gravità dei fatti forse servirà a redimere animi inaspriti dall'odio, e a cercare di lasciar parlare la vera forza dei sentimenti, annullando, da entrambe le parti, preconcetti e faziosi schieramenti di parte.
Se il senso civico e morale della vicenda che il regista Mauro Mancini si prodiga a raccontarci è chiaro, limpido, incontestabile, molto meno convincente è lo stile di realizzazione del film, assorto da una coltre inerte che appanna sia ogni figura protagonista (Alessandro Gassman e Sara Serrraiocco inclusi, ed altrove assai più convincenti e motivati), sia i ruoli di contorno, limitati ognuno da uno spessore introspettivo davvero risibile, scontato, pieno di luoghi comuni già nella gestualità perennemente mortificata che evidentemente si impone agli attori, tutti sottotono, tutti impegnati a recitare in sottrazione, sussurrando e atteggiandosi al peggio di quanto una tradizione televisiva ci ha ormai costretto a subire.

E poi tutte quelle insistite riprese aeree che l'utilizzo dei droni, ormai appannaggio di budget ben più risibili di questo, diviene gratuito e sin fastidioso, non meno di quel senso di tragedia e di cupezza che appare solo in parte giustificato dalle circostanze, ma spesso in grado di rendere situazioni e costruzione dei singoli personaggi, davvero caricaturale o insopportabile.
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