Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Lungi dal voler essere l'apologia di un'ubriachezza 'senza secondi fini', Druk si propone come un originale inno alla vita, alla volontà di mettersi in gioco, alla necessità di sentirsi curiosi, di tentare, di prendersi dei rischi per evitare che il proprio percorso umano si concluda con una resa incondizionata alla monotonia.
L'esistenza di Martin da un po' procede stancamente: il rapporto con la moglie, dalla quale ha avuto due figli ora adolescenti, si trascina per inerzia, mentre, nel liceo dove insegna storia, gli alunni dell'ultimo anno non ripongono in lui alcuna fiducia, tanto da protestare ufficialmente sia per i suoi voti eccessivamente bassi che per la mancanza di chiarezza che riscontrano nel corso delle lezioni. Durante una cena con tre colleghi - annoiati quanto lui - per i quarant'anni di Nikolaj, quest'ultimo, professore di psicologia, cita una teoria proveniente dalla Norvegia secondo la quale l'uomo nascerebbe con un deficit dello 0,05% di alcool nel sangue, ed assumerne ogni giorno quella dose lo aiuterebbe ad essere più equilibrato, reattivo e aperto. L'indomani mattina, Martin autonomamente prova a metterla in pratica, e di lì a mezza giornata, i quattro trovano l'accordo: il loro sarà un vero esperimento con tanto di relazione scritta, e consterà nell'assumere quotidianamente quello 0,05% di alcool mancante al loro organismo per constatarne gli effetti a livello lavorativo e sociale; l'assunzione inizierà la mattina e si interromperà tassativamente alle 20, per seguire l'illuminato esempio di Hemingway, che così facendo la sera scriveva capolavori.
Ricongiungendosi con Mads Mikkelsen otto anni dopo gli ottimi risultati ottenuti insieme ne Il Sospetto, Thomas Vinterberg prende spunto da una sgangherata teoria psicoanalitica (il responsabile ne è Finn Skårderud) non tanto per pubblicizzarla, quanto piuttosto per trattare in maniera semiseria il tema dell'alcool, partendo dai benefici che provengono all'umore da un suo consumo contenuto, per poi però andare a parare sugli effetti incontrollabili dovuti agli eventuali eccessi.
Senza la minima intenzione di fornire giudizi morali di sorta, Druk (titolo italiano: Un Altro Giro) accompagna i quattro antropologi improvvisati mantenendo per tutta la sua durata un registro leggero e scanzonato, ridendo della loro volontà di far le cose 'scientificamente' dotandosi di un etilometro portatile da usare rigorosamente di nascosto, così come della necessità di girare con bottigliette sempre piene per mantenere stabile il tasso alcolemico, salvo poi dover negare agli alunni anche un solo goccio di quella che credono essere acqua ma acqua non è.
La sceneggiatura (scritta dallo stesso regista con il fido Tobias Lindholm) non scade mai nella farsa o nella comicità di grana grossa, anzi tiene sempre salde le redini del racconto senza perdere di vista l'obiettivo vero, che emerge palese nella seconda parte, quando inevitabili eventi drammatici accadono, il tono si fa più riflessivo, ed il senso dell'operazione si esplicita in relazione/reazione alla noia che aveva portato i protagonisti a quella scelta bizzarra: lungi dal voler essere l'apologia di un'ubriachezza 'senza secondi fini', Druk si propone come un originale inno alla vita, alla volontà di mettersi in gioco, alla necessità di sentirsi curiosi, di tentare, di prendersi dei rischi per evitare che il proprio percorso umano si concluda con una resa incondizionata alla monotonia.
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