Regia di Walter Salles vedi scheda film
I rimandi cinematografici e gli apparentamenti per questo validissmo film possono essere innumerevoli: il Brasile che ci mostra Salles ricorda l'Italia del "Ladro di bambini" (1992), il Giappone dell'"Estate di Kikujiro" (1999), tra case popolari e strade perse nel deserto, camion decorati con orpelli religiosi e pullman su cui viaggiano anche le galline, fino a un paesino che ricorda la San Giovanni Rotondo devota a Padre Pio. Il tema dell'adulto e del bambino che viaggiano insieme per scelta forzata, oltre ai due film sopra citati, richiama obbligatoriamente anche "Gloria. Una notte d'estate" (1980) di John Cassavetes, mentre il Vinicius De Oliveira che interpreta il piccolo protagonista maschile non può non ricordare lo Stajola di "Ladri di biciclette" (1948) o i giovani protagonisti di "Sciuscià" (1946), - De Oliveira, scelto da Salles tra oltre 1500 candidati, faceva proprio il lustrascarpe alla stazione di Rio - mentre la Fernanda Montenegro regina della TV brasiliana, che dà qui una grandissima prova d'attrice, somiglia a Giulietta Masina anziana, con un sorriso da Antonio Ghirelli, e nella recitazione ricorda vagamente la Carmen Maura di "Che ho fatto io per meritare questo?" (1984) di Almodóvar: fra l'altro a un certo punto la protagonista pronuncia proprio questa frase. "Central do Brasil" fa riflettere su numerosi temi, alcuni trattati en passant (il ragazzo che ruba un oggetto da una bancarella ed è inseguito dai vigilantes che lo ammazzano come un cane, l'analfabetismo che imperversa in Brasile, il traffico di organi e di esseri umani) ed altri più direttamente, come la disgregazione sociale e i numerosi drammi dovuti alla povertà: la protagonista vende Josué a dei trafficanti di bambini per comprarsi un televisore con il telecomando, che non sa nemmeno usare. Alla fine, comunque non manca un messaggio di speranza, incarnato dai due fratelli di Josué (che in un primo momento danno l'impressione di essere due truffatori e invece sono persone per bene) e perfino dal disgraziato loro padre, che non era poi quel cattivo soggetto per il quale era stato fatto passare per tutto il film. Ed anche Isadora torna a casa con la consapevolezza, o almeno con la speranza, che il bene che ha compiuto non sarà stato inutile e che qualcuno non la dimenticherà (come dimostra la fotografia davanti al Santo che i due protagonisti guardano nel finale). E Salles riesce a fare tutto questo senza indulgere alla lacrima facile e allo stereotipo (unici cedimenti: le lacrime eccessive nel finale, quando addirittura le lacrime grondano giù dal mento a Josué e i riferimenti alla trottolina di legno).
Lontano dalle spiagge di Ipanema con le ragazze vestite solo di tanga invisibili a occhio nudo, lontano dal Carnevale di Rio (o di Bahia o di qualunque altra città), lontano dal samba e dalla lambada, lontano dalle folle festanti per i successi di Didì, Vavà, Pelé, Kakà, Ronaldo e Romario, lontano insomma dal Brasile da cartolina, dal Gesù che sovrasta Rio e dal Pan di Zucchero, lontano perfino dall'Amazzonia che fa tanto new age e perfino dalle favelas e solo di striscio vicino ai meninhos de rua. Lontano da quanto fa notizia o folklore locale, Walter Salles, classe 1956, racconta un viaggio che riscatta un'esistenza grama e gretta, quella della maestra in pensione Isadora, zitella, che arrotonda il modesto sussidio statale scrivendo lettere (che non spedisce) per gli analfabeti che transitano per la stazione principale di Rio de Janeiro, la Central do Brasil, appunto. Un viaggio iniziatico sia per il bambino Josué (fantastici i nomi biblici brasiliani: i fratelli si chiamano Isaìas e Moisés), rimasto orfano della mamma, sia per l'anziana maestra, alla ricerca del fantomatico padre del bambino.
Alla riuscita del film contribuisce ovviamente la visione di questo Brasile lontano dai centri urbani più famosi e cattivi ("qui siamo ai confini del mondo" dice un personaggio) e una musica per niente stereotipata che ben si adatta alle immagini che scorrono sullo schermo.
Brava, riesce a tenere a freno un certo innato istrionismo.
Il doppiaggio lo rende un po' troppo a simili a molti altri bambini del grande schermo, ma sembra consono alla parte senza voler strafare.
Sembra nata per recitare la parte di questa anziana zitella che ha congelato ogni sentimento, ma pronta a riscattarsi e a ritrovare l'umanità che ha in sé.
Eccellente e mai invadente.
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