Regia di Jacques Becker vedi scheda film
Un film che è quasi un documentario, grazie alla dovizia di accurati dettagli illustrativi della vita carceraria. Il realismo accompagna la narrazione con un ritmo invariabilmente uniforme; eppure il tempo non è una muta successione di istanti tutti uguali, nemmeno quando la scena, per interi minuti, è occupata da una mazza che batte contro il pavimento o contro una parete, estraendo pietre e calcinacci. Il suo meccanico scavare è infatti tinto di emozioni: è scandito, più che dalla ripetitività meccanica del gesto, dal vivo palpito dei timori e delle aspettative. La tensione verso il traguardo dell'evasione è la materia di cui, in questo film, sembra impastata l'aria: è una tensione che non degenera mai nel fremito dell'impazienza, perché nell'animo dei galeotti è costantemente trattenuta dalla paura di essere scoperti, come anche dalla volontà, forse inconscia, di prevenire una possibile disillusione. "Il buco" è la cronaca, romanzata ma non troppo, dell'umanità che, dietro le sbarre, riesce a sopravvivere articolandosi lungo i percorsi obbligati e gli spazi ristretti della detenzione. E', insieme, il diario di quotidianità forzata, eppure dotata di un margine di tolleranza tacita, entro cui ognuno può far emergere piccole creste della propria individualità. Tuttavia, l'impianto della storia è ferreo, e davvero chiuso con lucchetto e catenaccio: non si può sgarrare, deviando nell'approssimazione o divagando nell'incerto. Ciò che contraddistingue l'esistenza dei reclusi è infatti l'univocità del destino, sancita da una condanna giuridica e morale. L'opera di Becker aderisce scrupolosamente, nella forma, a questo rigore di sostanza, e trae da esso quella perfezione nitida e compatta che fa della visione un'esperienza diretta e tangibile, annullando la distanza tra lo schermo e lo spettatore.
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