Regia di Harry Hook vedi scheda film
Ahi ahi. Quanta fretta che ha questo film, tantissima, troppa. “Il signore delle mosche” scivola nella classica trappola di molte trasposizioni cinematografiche: volendo abbracciare più eventi e tematiche possibili del romanzo di partenza avendo a disposizione un tetto ridicolo in quanto a durata, finisce paradossalmente per trascurare gli aspetti più rilevanti che hanno fatto grande l’opera di Golding.
La regia televisiva di Harry Hook di certo non aiuta, nonostante non si possa additare come causa della mancata riuscita della pellicola. Difetto principale del film è invece quello di correre a perdifiato accumulando gli eventi, facendosi in questo modo fotografia fredda e sbiadita del libro.
Fredda, perché lo saccheggia più che trasporlo. In altre parole, è del tutto impersonale: menziona ma non reinterpreta, è un’opera senza cuore, realizzando la quale l’anonimo regista dimostra di non aver capito nulla del romanzo.
Sbiadita invece perché, pur restando fedele a molti minuziosi dettagli del plot letterario, non riesce a rispecchiarne il contenuto, a metterne in scena il succo.
Manca del tutto quell’insostenibile, angosciante e opprimente tensione psicologica presente in ogni pagina, manca la rappresentazione di quel buio nerissimo e impenetrabile nel quale Golding aveva gettato l’umanità tutta, accusando l’uomo (e qui cito testualmente lo scrittore) di “produrre il male come le api producono il miele”.
In definitiva, il tipico filmetto da trasmettere alle quattro del pomeriggio durante la merenda, ben lontano dall’essere noioso se volete, ma in ogni caso sterile e inconcludente.
Riguardarsi invece la validissima trasposizione del 1963 di Peter Brook, pellicola che anch’essa scarta più parti del romanzo rivelandosi molto sintetica, eppure in grado di prendersi i propri tempi, giocando sapientemente sulle luci e lasciando spesso parlare i silenzi.
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