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Il grande passo

Regia di Antonio Padovan vedi scheda film

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La recensione su Il grande passo

di Furetto60
7 stelle

Piacevole commedia agrodolce. Benissimo Battiston e Fresi," insieme".

 Mario vive a Roma, Dario nel Polesine. Mario gestisce un negozio di ferramenta con la madre, Dario un casolare in campagna. Figli dello stesso padre ma di madre diversa, fratellastri simili fisicamente, non hanno niente in comune, differenti per carattere e  vissuto: condividono soltanto il dolore dell’abbandono paterno. 

Dario a sei anni, nella famosa e indimenticabile notte del 20 luglio del 1969, ha visto come milioni di persone la storica impresa del primo sbarco dell’uomo sulla luna, da allora non ha mai smesso di volerci andare.  Per questa ragione in pase lo chiamano “Luna Storta’” perché ha dedicato tutta la sua vita a quel sogno impossibile, perché i sogni, come gli disse quella notte suo padre prima di scomparire senza dar più notizie di sé, sono ciò che rende gli esseri umani diversi dagli animali.  Genio incompreso dell'ingegneria spaziale, Dario si è dedicato anima e corpo, nel velleitario tentativo di raggiungere la Luna, un esperimento che si è però risolto, non solo con un campo in fiamme e una denuncia, ma anche con la condanna al ricovero coatto. Con la madre morta da tempo e il padre assente, Mario è l'unico a poter aiutare il fratello in questa spiacevole situazione che, si traduce in una magnifica occasione d'incontro e di conoscenza. Dario è un misantropo, eccentrico, estroso, ma quasi delirante, è davvero convinto di riuscire a raggiungere la luna con una nave spaziale, costruita in un capannone agricolo. La sua ostinazione unita all’asperità del carattere, contiene una nota di sorda disperazione, L'unico che può comprendere l'origine di questo malessere è Mario, che ha vissuto lo stesso dramma, ma che ha reagito diversamente, dal carattere bonario, accomodante, comprensivo, prende a cuore le sorti del fratello e decide di fermarsi nella sua cascina per appianare la situazione, anche con l'aiuto di un legale ed evitargli un doloroso TSO. Questo espediente narrativo permette al pubblico di apprezzare, una serie di gustosi siparietti, Il talento istrionico di Battiston si coniuga, felicemente con la indolente pacatezza di Stefano Fresi. La regia del trentacinquenne Antonio Padovan, alla sua seconda prova cinematografica, con la sceneggiatura di Marco Pettenello, realizza una famiglia disfunzionale, estremizzando situazioni e comportamenti. Il dramma dell'abbandono, tema essenziale nell'economia della storia, viene però tenuto in sottofondo. Ciò che interessa davvero al regista è indagare la relazione e i comportamenti dei due fratelli nel presente, sfruttando ogni occasione per il confronto tra i due protagonisti, la cui alchimia artistica, costituisce l’ingrediente chiave di questo riuscito prodotto. Il film si inserisce a buon diritto, in quel filone di cinema, capace di far pensare, e al contempo riuscire a suscitare ilarità, commedia dal retrogusto amarognolo. Il talento dei suoi due interpreti e un finale davvero indovinato, fanno passare in secondo piano, qualche ingenuità nello script

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