Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film
Ottimo questo secondo lungometraggio dei fratelli "D'Innocenzo". Bravi tutti gli attori, in particolare i bambini
La narrazione prende vita da una voce fuori campo , che in sottofondo ci riferisce, di un diario rinvenuto nella spazzatura, da qui parte una storia vera, forse o più probabilmente no, in ogni caso non molto ispirata, come afferma il nostro novellatore. Siamo nella periferia romana di Spinaceto durante una torrida estate dei nostri tempi ed entriamo subito nelle vite solo apparentemente tranquille di tre famiglie, che abitano in villette a schiera, non male dal punto di vista urbanistico, ognuna ha il suo giardino e il relativo garage, con l’erba tosata, lo steccato e la veranda con il tavolo per cenare all’aperto nelle calde sere d’estate. Non è la periferia degradata, de “La terra dell’abbastanza” il loro primo film”. Al contrario i nostri protagonisti si muovono su uno sfondo più che vivibile, perfino con il mare vicino, sono I Placido con Bruno, alias Elio Germano, uomo dispotico e arrogante, decide sempre tutto lui e impartisce ordini alla moglie Dalila, che subisce passivamente e i due figli Alessia e Dennis, impossibilitati a reagire data la loro tenera età, sono dodicenni, poi c’è il timido Geremia che vive in un camper con il padre single Amelio, che gli impedisce di frequentare la scuola, perché ritiene di essere lui maestro di vita, trascinandoselo in giro per l’Italia, persuaso di fare la cosa giusta, poi c’è la piccola Viola ,figlia timidissima, di una coppia di vicini dei Placido, infine Vilma una giovane e belloccia, anche se piuttosto volgare, che vediamo prima incinta e poi in compagnia del neonato che ha avuto con il suo compagno. Però dentro a questo contesto apparentemente sereno, bollono sentimenti oscuri e tutto l’evolversi degli eventi è dominato, da un senso soffocante di morte e di straniamento, cui sembra impossibile sottrarsi. I genitori tutti più o meno quarantenni danno peso ossessivamente ai beni materiali, un’auto, una piscina smontabile, le polo firmate, sostanzialmente insoddisfatti del proprio lavoro e della propria vita, giocano a mostrarsi agli altri come positivi e arrivati. Uno spaccato sociale sottilmente inquietante, i nostri covano risentimenti, invidie, gelosie mentre serpeggia un malefico e sottile malessere. Bruno e sua moglie hanno un rapporto molto conflittuale ,ma che viene sempre mascherato e taciuto, peraltro i genitori di Viola li frequentano, ma al contempo li criticano, provando fastidio per i successi scolastici dei figli, esibiti con soddisfatto compiacimento dal padre Bruno. A scuola, il prof Bernardini è un insegnante, brillante, ma con un’indole perversa, tiene delle lezioni “poco istruttive” dilettandosi perfino ad insegnare come costruire una bomba. Le vite di queste famiglie appaiono subito segnate, attraversate da una sottile disperazione, infatti si sciolgono come neve al sole. C’è una sequenza in particolare, che sintetizza il dramma interiore che provano i personaggi, Dennis non riesce ad ingoiare un boccone di carne, rischia di morire soffocato, viene soccorso dal padre mentre la madre strilla istericamente, lo mette a testa in giù fino a quando finalmente riesce a sputare, il maledetto pezzo di carne, tutti piangono, è la prima avvisaglia delle tragedie, verso cui vanno inesorabilmente incontro. La capacità di visione “sociale” dei fratelli gemelli D’Innocenzo, viene confermata felicemente in questo secondo lavoro, in cui raccontano, quella piccola borghesia, economicamente stabile, ma moralmente, fragile e soprattutto emotivamente confusa ed eternamente “arrabbiata “e insoddisfatta. Acclamato ancor prima della vittoria dei Nastri d’Argento, “Favolacce” è piaciuto sia alla critica che al pubblico. E’ un’opera complessa e intrigante, che “in primis” tratta il tema delle incomunicabilità, stimmate che allontanano genitori e figli, metafore di uno scontro generazionale irrisolto. Il punto di vista da cui si osserva, non è quello degli adulti, ma quello dei bambini, delle tre famiglie di cui seguiamo le vicende, che cercano di inventarsi un mondo parallelo, fittizio, ma vivo nella loro immaginazione, in cui cercano riparo per sfuggire all’insipienza e alla perfidia degli adulti, dei loro genitori. Come in una favola dei fratelli Grimm, c’è un sordido nemico in agguato, ma in questo caso non sono orchi o streghe, ma questi adulti, ma immaturi genitori, superficiali, sciatti e violenti. In scene di grande pathos, vediamo questi bambini , decidere “di non stare al gioco, di “lasciare la scena”. “Favolacce è soprattutto un monito che giunge in un tempo delicato della nostra storia civile, mette il dito nella piaga, e ci rammenta le nostre responsabilità di adulti nei confronti del futuro e delle nuove generazioni. Il film, che ha vinto l’Orso d’argento per la miglior sceneggiatura, è stato, impostato e costruito soprattutto in fase di stesura dello script, ma si regge bene, anche su una messinscena complessa, con una regia capace di restituire perfettamente il senso di sospensione della realtà in cui è immersa la storia, proprio come nelle favole, anche quelle nere, le atmosfere, i caratteri dei personaggi, e i loro comportamenti danno colore al racconto. Senza mai esibire nulla di eccessivamente sconvolgente, o scioccante, il film riesce a rendere, tutta la drammaticità degli eventi ,che mostra con parsimonia, per far scivolare lentamente lo spettatore in una storia a tinte cupissime, in un universo astratto, a tratti grottesco, consentendo cosi di avvicinarsi, a poco a poco, alle immani tragedie cui si assiste. La vita di provincia vagheggiata da tanti, forse è solo un ripiego, una condizione esistenziale, dentro cui, a volte, emergono gli istinti più bassi e animaleschi. Leggo che qualche critico ha accostato l’opera al film “American beauty” ed effettivamente hanno molto in comune, in particolare la dimensione sociale che teoricamente dovrebbe essere quella ideale, più a misura d’uomo, dove tutti si conoscono , l’ambiente è familiare, ma in sostanza può trasformarsi in una prigione emotiva e i tentativi di cambiare, di provare ad affrancarsi sono patetici: trasferirsi a casa di un parente in un posto forse ancora peggiore come fa Amelio, o tentare una nuova vita con l’illusione che lavorare come aiuto, dell’aiuto pizzaiolo dia la necessaria tranquillità economica, come fa il compagno di Vilma. La fauna umana rappresentata è quella pescata soprattutto nella classe media, che nel nostro Paese forse è la maggioranza, formata nella fattispecie, da persone frustrate e disperate, che non hanno realizzato le loro aspirazioni, per pigrizia o incapacità, che non sanno quello che vogliono, privi di fantasia ,non riescono più a sognare, ma come in una fiaba però, qualcuno che sa sognare c’è: I ragazzini del film, veri protagonisti della storia, l’esatto contrario dei loro genitori. Assolutamente speculari e mai complementari agli adulti, ma come loro sospesi in una sorta di limbo emotivo, escogitano la più terribile e sorprendente delle vie d’uscita, la loro scelta è veramente estrema
Bravissimi gli attori "bambini" ma tutto il cast a partire da Germano, è perfettemente in parte.
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