Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film
"Favolacce" è una sorta di libro narrato per immagini,dettagli e metafore,qui gli occhi dei bambini indagano e scrutano un mondo adulto brutale e superficiale.La periferia romana diventa una sorta di contenitore tra realtà,immaginazione e sogno dove non vi è la morale ma solo un pessimo finale.
Nella crasi tra favole+parolacce si colloca quest'ultima fatica dei fratelli D'Innocenzo,giovani cresciuti nella borgata romana del Pinaceto,che qui rielaborano i traumi infantili per un film d'indefinita collocazione. Grottesco? drammatico? tragicomico? poetico?, il film viaggia su questi binari paralleli,vivendo in un limbo tra mostruosità e disperazione.
Chi sono alla fine i personaggi di "Favolacce"? Sono nient'altro che quel lembo d'umanità che sopravvive alla fine del mese,culturalmente regrediti ai margini di una periferia qui diegetica,dove la voce romanesca di Max Tortora fa da cicerone tra villette a schiera di "Burtoniana" memoria. Qui sopravvivono famiglie la cui "normalità" è una facciata edonistica e "piccolo borghese" e dove i figli assurgono il ruolo di coscienza critica sociale. Sono dei ragazzini in età puberale i protagonisti di questo atipico viaggio "ispirato a fatti veri", dove la genesi è il diario di una ragazzina che narra un mondo fatto di bimbi e mostri.
Qui però non ci sono orchi e fate, ma una triste e sommessa realtà fatta di adulti abbruttiti e bambini depressi, i D'innocenzo utilizzzano una regia fatta molto d'immagini lucide ma slavate,di dettagli evocativi come il piede poco curato dell'adolescente gravida,o la dentatura malmessa di un genitore volgare.E' un cinema fatto di una telecamera che trasmette "disegni" che noi sfogliamo impietriti per le brutture di quell'ambiente. La Roma dei gemelli non è quella cardinalizia in stile Fellini o quella dei salotti "radical chic" di Sorrentino,ma una Roma postuma e irreale,creata "ad hoc"in uno strato suburbano teso sulle fantasie infantili.
Su questi inquieti "trip" mentali s'intrecciano piu' vicende e personaggi,dalla famiglia in crisi coniugale dove Elio Germano rappresenta egregiamente l'archetipo del genitore edonista e frustrato,alla famiglia del "ragazzo padre" che vive in un camper col timido figlio,due personaggi che sembrano usciti dal disagio sociale in stile Harmony Korine,sino all'adolescente in gravidanza e già rassegnata alle brutture della vita.Sono figure che qui si stagliano su strati di ambiguità,dove gli occhi dei bambini indagano e assorbono,prendendo nota sull'immaturità dei loro padri, smanettoni di video porno sui cellulari,con improbabili acconciature da mohicani di quartiere,inadeguati nei panni di genitori.
Un film dal retrogusto amaro dunque,fatto di sottrazioni da parte dei sorprendenti attori bambini che hanno consapevolezze che i grandi non hanno,ma sopratutto nella descrizione di un infanzia negata da quel mondo adulto che dovrebbe proteggere ma brutalizza i propri figli.
L'unico adulto che sembra uscire fuori dai conformismi è il professor Bernardini, il bravo Lino Musella attore già apprezzato in "Gomorra la serie". La sua figura è quella più sfaccettata e complessa, egli rappresenta una sorta di "guru" del chimico e dell'esplosivo,un vero "deus ex machina" del film che istiga i suoi alunni a scelte estreme pur di congedarsi da un mondo allo sfacelo.Tutto è comunque metaforico in questa borgata del "Pinaceto", i bambini dal candore depresso e gli adulti nevrotici sono il sottoprodotto di un Italia involgarita e senza appigli culturali,la summa di una società in stasi di valori,che qui raggiunge il parossismo.
I fratelli D'Innocenzo pur peccando in uno sforzo di creare un opera a tutti costi "D'autore" realizzano un film interessante,atipica sotto molti versi che ricorda "I Brutti,sporchi e cattivi" di Scola o personaggi randagi di Sergio Citti, non vi è dunque l'umanità dolente e poetica di Pasolini,ma una rilettura moderna non per tutti i gusti che piacerà ai critici ma non alle masse.
Quel che emerge è un quadro malsano di umanità allo sbaraglio,dove anche l'adolescenza non si apre alla vita,scegliendo l'epos tragico della morte.I D'Innocenzo scelgono dunque un finale pessimistico,dove le uniche speranze risiedono nel "ragazzo padre" che col gracile figlio fugge dall'arretratezza della periferia,sperando in un domani migliore.
Le considerazioni finali sul film sono per me contrastanti, se da un lato vi è una lettura interessante e "sui generis"del mondo odierno dall'altro vi è la sensazione di un certo compiacimento (anche giusto) dei propri mezzi di cui il film "soffre", ma aldilà di ciò sono convinto che "Favolacce" è un film che merita più di una visione, per poter cogliere nel dettaglio lo sguardo imploso dei protagonisti e la poetica originale e sfaccettata che lo compone,ovvero una fiaba moderna dove i "mostri" cattivi abitano nelle nostre case, seduti al nostro fianco.
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