Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film
"Quanto segue, è ispirato ad una storia vera; la storia vera è ispirata ad una storia falsa; la storia falsa non è molto ispirata".
Sono più inquietanti i genitori, che ostentano armonie familiari appiccicate con lo sputo e camuffate dietro l'ordine posticcio ed autoimposto di casette a schiera tutte uguali e tutte ugualmente finte e senza personalità, o piuttosto i figli di costoro, piccoli ma già esasperati di una vita che già li fa desiderare di farla finita, per se stessi e chi sta loro vicino?
L'innocenza legata all'infanzia, è destinata a cedere il passo alla malizia di una vita adulta che cerca in tutti i modi di scalare una posizione sociale protesa al massimo risultato - in termini di agi e confort - possibilmente al prezzo di un minimo sforzo.
Favolacce, attesa opera seconda dei fratelli D'Innocenzo, vincitrice a sorpresa dell'Orso d'Argento alla migliore sceneggiatura alla Berlinale 2020, si concentra su famiglie di fatto ordinarie composte da genitori e figli circondati da una artificiale armonia abitativa che nasconde, fino a quando riesce, la disperazione che anima quegli esseri inquieti e fragili, destinati a trasformarsi quasi inconsaoevolmente in piccoli mostri troppo informati, in grado di commettere azioni decisamente al di sopra delle loro naturali possibilità.
"Bisogna morire, bisogna morire" canta imperterrita e senza speranza l'ultima canzone del film, "Passacaglia della vita", splendido pezzo di Stefano Laudi, tetro ma assai coerente corollario di un tragico quanto annunciato devastante finale.
Tramite una narrazione scarna, costruita su singoli episodi solo apparentemente isolati tra di loro, ridotta all'osso a tal punto da rendere ancor più allarmante una vicenda corale destinata a concludersi nel baratro, i D'Innocenzo tentano - e ci riescono con l'efficacia macabra di una favola nera allucinata e desolante - di creare i presupposti che segnano l'evolversi della disperazione e della tragedia che apre e chiude questo insieme di piccole mostruose azioni.
Opere perverse che l'agglomerato urbano partorisce come risposta ad una omologazione che muta in qualcosa che è tutto il contrario del paradiso rassicurante ed omologato che accoglie le famiglie del grazioso quartiere residenziale romano ove si svolge la storia, anzi l'incubo. Tra gli interpreti coinvolti, efficacissimi e spesso inquietanti, riconosciamo il piccolo efebico Justin Korovkin, visto, apprezzato e qui non meno problematico di come appare in The nest.
Ottimo e nevrotico come sempre Elio Germano, nel cui volto attonito si disegna una macabra smorfia chevtradisce la consapevolezza di un orrore senza consolazione a cui sono destinati i genitori di quel quartiere.
Stupefacente inoltre appare la performance della giovane ed inquieta neo-mamma provocatrice di minori, resa con determinata lucida follia dalla brava giovane attrice Ileana D'Ambra. Inquietanti quasi come negli horror americani, le villette a schiera ove si accumulano nevrosi ed invidie nascoste dietro le siepi ordinate di giardini tutti uguali e tutti posticci, sono parte integrante della genesi di un disagio che si trasforma in una forma di distruzione e morte che nessuno riesce ad evitare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta