Regia di Damiano D'Innocenzo, Fabio D'Innocenzo vedi scheda film
Un film interlocutorio, che calca troppo la mano del coatto a tutti i costi ma che restituisce anche un buon ritratto del vuoto emotivo e delle piccole e grandi paure delle nuove generazioni
Non stupisce che "Favolacce" sia in stretta correlazione con l'anno della pandemia, quello tsunami non solo sanitario ma anche emotivo e relazionale che ha colpito soprattutto i più giovani tra incomunicabilità, depressione e disturbi di ansia. I bambini del film, che si dimostrano sì più maturi degli adulti ma anche profondamente più fragili, sembrano così la cartina al tornasole delle tante dificoltà nello stare al mondo, qui fatto di una periferia romana borghese (ma non troppo) che sembra come una bella confezione regalo di una scatola vuota, tra adulti immaturi e puerili e bambini iper riflessivi ed auto distruttivi. Tutto però è calcato con troppa enfasi, facendo perdere al film buona parte della sua forza innovatrice e distopica, ed in più di un frangente diventa quasi macchiettistico (Elio Germano sembra vestire ancora i panni di un Nino Manfredi dinoccolato e gigione, così come suonano retorici certi eccessi di burinaggine coatta). Buona comunque la prova dei piccoli protagonisti, di cui resta impresso soprattutto lo sguardo serio e quasi mai sorridente come i bambini alieni de "Il villaggio dei dannati".
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