Regia di Ferdinando Cito Filomarino vedi scheda film
La fuga di Beckett è un susseguirsi assurdo di situazioni frustrate, in cui non esiste posto sicuro, e quello che ne ha la parvenza viene polverizzato in pochi minuti, spesso con lampi di violenza traumatica sorprendenti. Ferdinando Cito Filomarino guarda a Pollack e a Hitchcock, stende le sue scene su un tessuto-soundtrack impressionante (che viaggia fra citazioni illustri a Penderecki e Wagner) e infine dà una chiusa un po' deludente (ma devota, a quel punto, al genere) a un action intellettuale per il resto girato con piglio serio e senza fronzoli, felicemente devoto al venir meno alla vanità dello star system (Krieps e Vikander usate per piccolissimo minutaggio). E' un action carnale, di ferite inflitte con pugnali, pistole, barre di ferro, sportelli di auto; e si vive nel perenne disagio che le singole logiche della singola scena, fatte di luoghi e spazi ben precisi, siano nulle rispetto al quadro più ampio, invisibile per tutti, giocato su altri campi. Non è insomma il Costa-Gavras dell'indignazione e dei buoni e cattivi di Z, forse è più il Costa-Gavras dei girotondi grotteschi di Adults in the Room, quello di dialoghi e dettagli specifici davanti a interi mondi complessi e ininterpretabili. Come I tre giorni del Condor, un who"did-not"dunit svelto e schietto, sotterrato da una cultura dell'hype che pure sulla stessa piattaforma Netflix gli preferisce i film pluripremiati, spettacolari e con stantie idee di Autore.
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